Li trovo in ambiti deserti

Carissima: trovo i miei arabi in ambiti deserti. Non tanto perché senza case quanto perché senza cose. E, non, sai, che loro siano incapaci di averne, di cose, ma perché impediti dalle loro “case”. Così, ci vado io. Naturalmente, non ci resto. Loro invece ci restano. Non più come prima, però. No. Non preparo kebab nella mia cucina, anche se qualche volta mi è capitato che si spogliassero in cucina. Il kebab, è un po’ come loro: molta carne (vitalità) e molti sapori, (emozioni) ma piatto il pane. Un po’ come la terra prima di scoprire che non è così. Come in tutte le culture pre moderne, (qualsiasi cosa voglia dire, pre moderno) lasciati lì per lì, i miei arabi tornano dalle donne quando devono compiere la funzione fisica, e/o la funzione sociale. Prima o dopo di quello, sono pastori in cerca di pastura. In questa ricerca non vanno tanto per il sottile, circa il… campo. L’importante, è che ingrossi e/o ingrassi la parte maggiore del “kebab”. Vuoi un esempio fresco di giornata? Viene a lavorare un marocchino sui trenta. Gli spiego la difficoltà di comunicare delle informazioni anche complesse, a chi non mi intende. Lo capisce. Mi guarda sorridendo. Appoggia una gamba sulla mia. Mi chiede: durerà per sempre il mio lavoro? Malignaccio, mi dirai, sarà stato un caso, quella gamba appoggiata alla tua! Sarà, ma, perché non ha ritirato il caso? Idioma dal suono meraviglioso, dici? A me ricorda il grattare di un meccanismo non oliato. Mi risulta come dici, invece, quando ti parlano all’orecchio per arrivare al cuore: suono che avrebbe delle meraviglie se solo il cuore potesse crederci.

DEI TEMPI CHE FURONO