Ragione nella fede e fede nella Ragione – a Eugenio S.
In uno scritto di tempo fa, si chiedeva ”se il bene morale, in qualche modo non avesse una origine naturale“: indubbiamente. I contenuti della vita senza il corpo contenitore, sono come dell’acqua senza ciò che la raccoglie, così, l’Acqua (Essere ed Essenza) che dal Suo sé volle originare la vita a propria Immagine e Somiglianza lo poté solamente dopo aver principiato il bacino: la Natura. La Natura è il corpo che raccoglie le emozioni date dai contenuti che sono nella Natura della Cultura della vita sino dal Principio. Il Corpo è Natura (contenitore) della Cultura (contenuti) della vita secondo la forza del suo Spirito: Natura della Cultura della forza dell’Acqua (spirito dell’Essere e sua essenza) che si travasa nella realtà che principia: la vita nei multiformi ed infiniti aspetti. La Natura, più sente il bene e, tanto più, proiettando la forza della sua vita (il suo spirito) si protende verso un principio di vita sempre maggiore: il Bene. La Natura che attraverso il senso del suo bene eleva la sua Cultura al Principio (il Bene) non può non essere il principio della morale culturale propria dello stato naturale. Tuttavia (in ragione dell’unitaria corrispondenza fra gli stati) siccome la Natura sente ciò che la sua Cultura sa (come la Cultura sa ciò che la sua Natura sente) allora il Principio della morale naturale non può non essere anche il Principio della morale culturale. Al Principio del bene nella Natura, quindi, non può non corrispondere che quello del Vero nella Cultura. Siccome il rapporto di corrispondenza fra il Bene nella Natura ed il Vero della Cultura è vita e, la vita, è data dalla forza dello Spirito, allora, la morale naturale – culturale non può non essere anche spirituale, cioè, secondo Spirito. Siccome lo Spirito che si origina dalla corrispondenza fra il Bene ed il Vero non può non essere Giusto, ne consegue che la Giustizia è la morale della Natura della Cultura della vita secondo Spirito. Il Principio del bene, secondo quanto è vero alla Sua cultura e giusto alla sua forza, ha originato la vita. Allora, la morale naturale, culturale e spirituale della forza dello Spirito della Natura della Cultura del Principio della vita, è la vita. La morale della vita del Principio (la vita secondo la forza dello Spirito) è principio che non si ultima se non ultimando il suo stesso principio, cioè, la stessa vita.
Tornar a sapere la Cultura
Tornare a sapere la Cultura della vita è tornare a sapere la Cultura del Principio. Tornare a sentire la nostra forza è tornare a sentire la forza della Vita: lo Spirito. Rientrare in stati di vita antecedenti (antecedenti perché la Natura è prima della Cultura) è come tornare bambini: vita naturale prima della culturale. Tornare naturalmente e culturalmente bambini, significa delegare la Cultura della vita che ci fa vivere al padre naturale che ci ha originati. Tornare spiritualmente bambini, invece, è delegare la Cultura della vita che ci fa vivere, al Padre della vita spirituale che ha originato la nostra. In genere, la Cultura della nostra Natura di “grandi” teme di tornare al Principio della Vita: il Padre. Lo teme perché, nel farlo, rivela la pur indispensabile transitorietà. Ciò che teme la Natura della nostra vita, confortata dalla forza dello Spirito che proviene dalla conoscenza dell’infinito Principio della vita (la Vita) non dovrebbe temere la forza della nostra Cultura. Nel confidare nella Cultura del Padre (il Principio della Vita) quando si è deboli perché piccoli (ed in questo senso, fanciulli sia da bambini che da adulti) vi è l’essenza della morale naturale, mentre, nel farlo quando si è “grandi” vi è l’essenza morale della vita naturale, culturale e spirituale. Convengo con Lei, che tornare bambini da grandi sia tutt’altro che semplice (per me non lo è stato affatto come non lo è restarci) ma pur vedendo tante scelte, non vedo altra strada.
Se il Principio ultimasse
Se il Principio ultimasse la sua vita, avendo in se la fine non sarebbe principio; ne consegue che il Principio della Vita “è”. Mi si potrà obiettare che potrebbe anche non esserci un Principio divino ma il solo naturale. Ben vero. Credere nel Principio naturale della vita, dato il principiato, è più che ovvio, ma, dato il principiato, credere nel Principio divino della vita, è un’ovvietà data solamente dalla Fede. La Fede è elevazione della Fiducia. Tanto più si ha fiducia nella vita e tanto più la si ama. Tanto più la si ama e tanto più ci ama. Tanto più la si ama e tanto più ci ama e tanto più questo amore ci eleva verso il supremo principio: l’Amore. In tutti gli stati della vita (umana, sovrumana, quanto divina) l’Amore è Comunione. La comunione è l’Alleanza che permette la vita: amore fra i suoi stati. Paragonando l’ascensione spirituale ad una scalata, direi che come si sale su una cima solamente avendo dei buoni polmoni naturali, così si può salire dal principio naturale della vita a quello divino se si hanno dei buoni polmoni culturali e spirituali. Fiat e Amen sono i polmoni culturali e spirituali della vita. Il primo è quello della volontà di vita (accoglienza del fiato della Vita nella nostra) ed il secondo, quello della remissione del Suo fiato (spirito e forza) secondo il fiato (la volontà di vita) dello spirito della nostra forza. Perché principio alla vita, (fiat) nel primo momento la Vita ci determina. Perché remissione di vita, (amen) nel secondo momento la Vita ci accoglie per poter determinare la vita secondo il Suo principio: vita.
La fiducia è amore
La fiducia è amore verso la vita secondo il principio del bene detto dalla Natura. Secondo il principio del Bene detto dalla Cultura, la fiducia è Fede quando è amore verso la Vita. Tanto più la fede verso la vita è certa perché nella fiducia ama e per fiducia è amata dalla Vita e, tanto più la condizione di quella fede eleva al Principio. E’ una fiducia (la fede che si eleva al Principio) che per quante parole si usino non si riuscirà mai a comunicarla secondo Cultura. Non ci si riuscirà mai, perché, per quanto la Cultura possa dirla, solo la Natura la può sentire e, dunque, sapere. Nessun titolo ma, solo questa soggettività, è ciò che rende eletto, perché proprio, il rapporto fra la vita e il Principio. L’elezione collettiva (quella di un popolo) è data dalla comune Cultura della vita religiosa verso la quale esso si volge. Se si volge verso il Bene, certamente è collettivamente eletto tanto quanto vi si volge. Nel sentirla collettivamente, in ragione dello stato qualitativo, certamente vi è il quantitativo massimo di una Cultura religiosa, ma, questo tipo di elettività, tanto può dare collettiva spiritualità quanto può dare collettiva vanagloria. Il principio della Vita è vita: essendolo, è vita in tutte le direzioni ed è la vita di (ed in) tutte le forme. Allora, la gloria religiosa è del Popolo e/o dell’Individuo che segue il Principio della Vita: vita in tutto ciò che ha originato, vuoi di simile, vuoi di alterno e/o di altro. La vanagloria religiosa, invece, è del Popolo e/o dell’Individuo che, pensando eletta solamente la vita che segue la sua stessa Cultura, ne fa questione di vanto, di potere, e di crociata per innumerevoli forme. La dove il Popolo o l’Individuo non segue il principio della Vita (dare vita in tutte le direzioni ed in tutte le forme) non è spiritualmente eletto tanto quanto si dissocia. Un Popolo (e/o un Individuo) si dissocia dalla vita sino al suo Principio, tanto quanto (per sé o contro altro da sé) a se associa il dolore: male naturale e spirituale da errore culturale.
Chi (Individuo o Popolo)
Chi (Individuo o Popolo) eleva la propria Cultura a Principio della vita di altra, compie una spirituale coercizione (ma al punto sarebbe meglio dirlo spiritica) ogni qual volta (separando una vita dalla sua Cultura) ne origina il corrispondente dolore. E’ in overdose di se, l’Individuo e/o il Popolo che, secondo l’idea che ha del suo Principio, determina la vita altra. Supporre che quell’esaltazione non possa non avere che origine divina tanto può essere intensa, significa che si può anche non tenere in debito conto le esaltanti possibilità dell’io quando, per ciò che sa o crede, eleva il suo spirito a quello Sovrannaturale. Pur avendo vita dallo Spirito e, dunque, facoltà di forza, la vita sovrannaturale non necessariamente significa divina, in quanto, non tutta la vita di quello stato corrisponde con quel Principio. Ci vuole un attimo per cadere nell’errore di confondere ciò che è dell’Io umano o soprannaturale dall’Io divino ma ci vuole anche un attimo per annullare quell’errore: infatti, nell’elevazione spirituale (diversamente dall’elevazione di origine spiritica umana quanto sovrumana che è sempre esaltazione) lo stato della pace verifica l’errore. La pace è un’estasi. L’estasi è corrispondente allo stato che l’origina: così, vi è l’estasi naturale e culturale. Se l’estasi è data dalla corrispondenza dell’insieme degli stati della vita e, con la propria, l’altra sino a comprendere la Vita, allora, secondo lo stato di quello stato di alleanza, l’estasi è spirituale.
L’estasi che proviene
L’estasi che proviene dalla spirituale comprensione della vita del Principio divino è certamente elevata ed elevante, ma, per quanto elevata, quella comprensione, l’estasi che pure innalza l’umano, comunque non lo eleva oltre il suo stato culturale. Non lo eleva oltre, perché lo stato che pure la sente al disopra della sua Natura, non per questo la sa al disopra della sua Cultura. Non la sa al di sopra della sua Cultura perché la Natura àncora la sua Cultura alla realtà dello stato di appartenenza (secondo il caso, umana o sovrumana) dello spirito elevato dalla conoscenza. Ciò che non si sa al di sopra della nostra Cultura, lo si sa perché lo si sente secondo Natura. Lo si sa perché lo si sente quando concediamo alla Natura della Cultura della Vita, la volontà di determinare la Natura della Cultura della nostra. Per quella concessione, tanto quanto si determina di essere diretti secondo il Principio della Vita (vita in tutti gli stati della vita) e tanto quanto la nostra è in pace. La pace di origine divina, dunque, è sentita nell’acquiescenza spirituale (remissione verso la Vita della forza della nostra) della determinazione naturale (forza del sentire), culturale (forza del sapere) e, spirituale (forza della vita) che accetta di accogliere l’Infinito nella sua. Siccome nella pace che segue alla remissione della vita alla Vita non vi può essere dissidi, ecco che la pace divina è quell’emozione spirituale che per essere non può non subentrare che all’annullamento, per delega verso la Vita, della volontà di determinare la nostra. Tanto più la determinazione della volontà viene annullata perché delegata al Principio della Vita (la vita) e tanto più divina, perché universale, è la pace che subentra nel nostro spirito. In presenza di esaltazione, allora, o è personale la forza esaltante o è di inconoscibile identità.
La Vita tutto comprende
La Vita tutto comprende fuorché il dolore. Sia nel Particolare (e fra particolari) che verso l’Universale, il dolore è ingiustizia verso la vita perché è sempre e comunque male da errore. Sia la remissione che l’esaltazione della vita propria che dell’esaltazione della propria su altra, quando originano dolore, non possono essere giuste; se non possono essere giuste, allora, non possono neanche essere vere. Nella ricerca del Principio della Vita, sono guida le parole: “ognuno fa (e/o da) quello che può.” Ognuno fa (e/o da) quello che può, non perché la Vita limiti (la Vita non può limitare se non condizionando il Suo principio, la vita) ma perché è giusto che non possa fare o dare più di ciò che può: è giusto perché dare o fare più di ciò che si può pone in afflizione, ed essendo l’afflizione un non bene, allora è errore tanto quanto è dolore. In ragione del nostro stato di vita e, secondo lo stato del nostro stato di vita, tutti siamo capaci di comprendere l’Infinito. L’Infinito non ha punto di principio (se lo avesse non sarebbe infinito) pertanto, l’Infinito “è”. Per iniziare a comprendere l’Infinito si può partire da un qualsiasi suo punto, ad esempio, l’Io. Ammesso l’Io come principio di conoscenza, ad esso si somma tutto ciò che si sente e si sa. Al termine di questa addizione, si sa sull’Infinito, quanto siamo in grado di comprenderlo in ragione di quanto si sente e di quanto si sa. Tanto più la Persona sarà in grado (anche perché messa in grado) di sommare le informazioni di sentire e di sapere e tanto più amplierà la sua conoscenza e, dunque, anche il suo stato di infinito nell’Infinito. Accolto l’Infinito perché accolto quanto sentiamo e sappiamo circa il nostro stato di infinito, allora si può dire che si è nell’Io del Principio (e, dunque, nell’estasi che ci coglie) tanto quanto siamo in grado di conoscere la vita. Credere nell’Infinito, non necessariamente ha bisogno di una Cultura religiosa, tuttavia, il suo Principio ha bisogno di fede nella Sua vita.
Dato il rapporto di vita
Dato il rapporto di vita fra la Somiglianza e l’Immagine, ciò che appartiene al particolare (la condizione trinitario – unitaria degli stati della Persona) necessariamente, appartiene anche all’Universale. Allora, è fede verso il Principio, universale perché infinito, la certezza dello stato trinitario – unitario della Persona: Natura (il bene) della sua Cultura (il vero) secondo la forza dello Spirito (vita del Giusto dal Bene che proviene dal Vero) che l’ha principiato. Quando si sa la vita del Principio (ovviamente, in ragione di quanto si può) e, tanto quanto (per accoglienza) la si sente universale nella nostra, allora, non vi è alcun mistero sull’esistenza del principio dell’Essere (divino perché supremo) in quanto, a quel punto, la fede muta la certezza per speranza in certezza per sapienza. Sentire l’Universale nel particolare non significa che quel sapere sia panteistico. Nelle cose animate secondo il loro stato di vita non vi è l’identità di Dio ma ciò che può perché sa. Sentendo la Natura di questa vita (il bene) si inizia a capire (perché sentire) l’Universale Natura della Vita: il Bene. Chiaramente, ne la si sentirà e ne la si capirà per assoluti (che di assoluto vi è il solo Principio) ma la si capirà così com’è sia la vita umana che sovrumana, cioè, secondo stati di infiniti stati di corrispondenza fra vita e vita e fra vita e Vita. La morale della Vita (vita per ciò che è bene per la sua Natura, vero per la sua Cultura secondo quanto è giusto per il suo Spirito) è principio e meta. Lo è di principio e di meta sia verso la vita propria che verso quella sociale; per elevazione di principi lo è della spirituale. Se la meta spirituale che questo stato di vita si propone è la vita del Principio, allora, data la nostra vita, principio e meta è il Bene della Natura, per il Vero della Cultura, secondo quanto è Giusto allo Spirito: forza della vita della Natura della Cultura della vita del Principio do ogni vita.
Da ciò che mi comunica
Da ciò che mi comunica attraverso i suoi scritti mi è sempre parso di capire che Lei senta la guida che la lega alla terra (il filo della vita dato dalla Cultura della Natura) troppo corto per la sua voglia di cielo. Non è vero che il filo è corto. Ci risulta corto perché cerchiamo anche fuori e/o sopra di noi, ciò che, primariamente, è dentro di noi. Se ciò che è dell’Immagine non può non essere della Somiglianza, allora, se lo stato di forza dello Spirito è l’immagine spirituale dell’identità della Vita, dato ad ognuno il proprio stato e secondo lo stato del proprio stato, la forza del nostro spirito è l’identità spirituale della nostra vita. Siccome lo Spirito è forza, necessariamente, la forza della vita (lo Spirito) guida la vita (rapporto di corrispondenza fra Natura, Cultura) secondo stati di forza: naturali, culturali e spirituali. Quegli stati sono: l’esaltazione, (emozioni in eccesso) la depressione (emozioni in difetto) e la pace: emozioni di quiete per assenza del dissidio. Gli stati della forza di spirito (le sue emozioni) sono il verbo dello Spirito presso il nostro. Lei mi dirà che tre parole non sono poi molte. In effetti pare così, se solo pensa a quanti stati di vita ci possono essere in quelle tre parole, converrà che il vocabolario dello Spirito è infinito.
L’esaltazione
L’esaltazione è ingiustizia verso la Cultura; a causa di quell’eccesso di vitalità, il sapere non corrisponde al sentire. La depressione è ingiustizia verso la Natura; a causa di quel difetto di vitalità, il sentire non corrisponde al sapere. La pace è giustizia verso la vita, perché, nella pace, la vita data dalla forza del suo spirito “è ciò che è”: Natura che sente (e dunque sa) ciò che la sua Cultura sa e dunque sente. Dove per la giustizia data dalla pace cessano i dissidi, allora, il bene (la Natura) corrisponde al vero (la Cultura) per quanto è giusto allo Spirito. Se cerchiamo la vita ascoltando la forza del nostro spirito in quello che si è per ciò che si sente in quello che si sa, il che significa in pace, spiritualmente parlando il filo della vita non è ne lungo e ne corto, ma, giusto. In genere, se viviamo il filo come lungo, o è perché la Natura si esalta sulla Cultura (tipico della giovinezza) o è perché la Natura deprime la Cultura: tipico della vecchiaia. In effetti, sia ai giovani che hai vecchi (almeno presso i dolenti che gli altri tutt’al più lo sperano) la vita sembra non finire mai. Negli uni per il peso culturale corrispondente all’età, negli altri per il peso naturale corrispondente all’età. L’età che vive il proprio filo come forte è esaltata dalla forza (dallo spirito) della vitalità naturale. L’età che vive il proprio filo come debole è depressa nella forza (nello spirito) della vitalità culturale. L’esaltazione e la depressione sono patologie da disordine nei rapporti fra gli stati della vita: Natura, Cultura e Spirito. L’esaltazione o la depressione quando fissano di se lo stato di una vita (o la sua totalità) ne ammalano la forza: lo Spirito.
Quanto per conoscere
Quanto per conoscere sanno sentire come per sentire sanno conoscere, il rapporto di vita fra gli stati di Natura, Cultura e Spirito, per essere giusto non può non essere mediato. Siccome la forza dello Spirito è ciò che da vita ma la vita e data dalla corrispondenza fra Natura e Cultura di tutti ed in tutti gli stati della vita, allora, lo Spirito, è il mediato mediatore degli stati della vita. Considerato che la mediazione fra gli stati della vita è la corrispondenza che ordina la vita, allora, l’ordine concesso dal rapporto della forza di spirito che si origina dalla corrispondenza fra gli stati della vita non può non essere norma di vita e, dunque, Norma della vita sino dal Principio. La forza della Cultura della Natura della vita, il bene, è guidata dalla Natura della Cultura della Vita: il Bene. Se lo stato di una vita è nel bene per quanto è vero alla giustizia del suo spirito, allora la sua vita (il suo filo) non può essere ne forte (esaltato) e ne debole (depresso) ma, come dicevo innanzi, in pace perché di ordinata corrispondenza, e dunque, giusto. La Natura, attraverso gli stati della sua forza di spirito, sente sempre (e dunque sa) ciò che la sua Cultura non sa, perché non sempre sa ciò che sente. La Cultura sa ciò che la sua Natura sente, quando vi è coscienza di quel sapere, ma, la Cultura è cosciente di un dato sapere solamente se il naturale sistema del sentire (i sensi) gli conformano il culturale sistema del sapere: il senso. Dove fra il sistema del sentire (i sensi) e quello del sapere (il senso) vi è separazione, allora, tanto quanto vi è separazione fra i sensi ed il senso, non vi è vita tanto quanto la Cultura non sa ciò che la sua Natura sente.
Diversamente dalla Cultura
Diversamente dalla Cultura (ciò che si sa) che deprivata dai sensi non sente ciò che sa, la Natura (ciò che vive ed è secondo la sua forza) sente sempre (e dunque sa) perché, anche se di per se non ha proprietà di concetto, tuttavia ha il senso dei suoi sensi. Di fatto, se ad una Natura (per Natura intendo il corpo della vita comunque formata) si provoca una qualsiasi pressione in una qualsiasi sua parte, certamente, essa può anche non saperne definire la causa, ma, in ogni caso la sa perché la sente. Se la Natura sa, anche oltre la Cultura, non la Cultura può essere l’avvio di ricerca del Principio della Vita, ma, la Natura: il bene della vita particolare dato dal Bene della Vita universale. Nel sentire il bene nella nostra Natura, tanto quanto la forza del nostro spirito sta bene perché è diretta al Bene e, tanto quanto siamo in grado di capire se la via (Natura) della nostra vita (Cultura) è giusta nella direzione verso il Principio del Bene: Natura della Cultura della Vita per la forza dello Spirito. Naturalmente siamo in grado di capirlo, in ragione di quanto sappiamo elevare la nostra fede perché sappiamo liberare la nostra ragione da ciò che esalta o deprime il nostro spirito. Per sentire e dunque sapere la nostra vita è necessario che fra i suoi stati (Natura, Cultura e Spirito) vi sia corrispondenza di vita. Per giungere alla corrispondenza di vita è necessario che tutti gli stati della vita abbiano la stessa forza di spirito, cioè, la stessa vita. Lo Spirito, sia nel divino che nell’umano, che media gli stati della vita per dare a tutti la stessa forza, (la vita) non può non essere Paracleto. Tornare a sentire la Natura della nostra vita è tornare a sentire la Natura della Vita.
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