Mi sono svegliato alle quattro senza sonno. In sala il Piccolo sta dormendo. Piccolo per modo di dire visto che è sui cinquanta. Non li dimostra perché non si considera così. Come tanti per non dire tutti riprenderà il così con i primi allarmi. Ai campi l’attende un orario generalmente pesante: almeno una decina di ore. Badando a non far rumore apro il PC. Devo scrivere il pensiero che m’ha svegliato: riguarda l’uomo e la donna e i loro principi: la determinazione della volontà di vita (erroneamente diventata una volontà di potere) che dico appartenere all’uomo e l’accoglienza della volontà della vita (erroneamente diventata la volontà principalmente remissiva) che da sempre il maschio pretende dalla donna perché supportato da dannose convinzioni. Naturalmente, la determinazione maschile non esclude l’accoglienza, così come l’accoglienza non esclude la determinazione. Tutto bene, vero e giusto sulla carta ma nella realtà sfuggente.
Non perché quei principi siano erronei di per sé ma perché diventano fonte di errore se interpretati come volontà di potere di una vita su l’altra. Manifestiamo quel potere perché ci siamo appropriati di quello dell vita. Il potere della vita ci determina tanto quanto accogliamo il Bene che fa stare bene. In questa deteminazione del suo carattere ci diventa il maschio che sottomette sia l’uomo ch la donna. Diventa la femmina che sottomettiamo, invece, tanto quanto accoglie il Bene che gli abbiamo dato sia nella veste maschile che in quella femminile. Il mio Piccolo (mio si fa per dire) è con me da una quindicina d’anni. Lo sarebbe ancora se non avessi saputo (non sempre facilmente e per chiara volontà) bilanciare il suo principio maschile, non opponendogli il mio, bensì ponendogli il mio nel suo. Di certo, quell’avanti e indrè non è stato tutto un bel divertimento!
A quiete raggiunta, però, dico che il gioco è valsa la candela perché vita ho dato e vita ho ricevuto. Ne ha dato di più lui o ne ho dato di più io? Non so: il conteggio si perde come si perdono le gocce d’accua nello stesso bacino. Senza l’intento mediatore ci si ritrova ad aver a che fare con una controparte (maschile o femminile che sia) culturalmente eguale. In ragione dell’eguaglianza culturale, la donna si distingue dall’uomo per l’ovvia ragione naturale: lo stesso per l’uomo. Il sentimento che nasce da quella reciproca somiglianza di pensiero e del carattere della rispettiva forza (del rispettivo spirito) lo direi Omo culturale. Ben venga quell’omoculturalità se formata dalla equilibrata mediazione fra le parti. Dove non attuata così, però, passata la passionale scuffia i due soggetti constatano di non avere più nulla da dirsi o da darsi: accordati impegni a parte.
Nulla di irrimediabile se ognuno accorda con l’altro e/o l’altra una diversa strada. Grave, però, quando non gravissimo (o addirittura mortale) se la volontà di potere per possesso diventa imperante. Dove lo diventa, nessuno o nessuna cede il suo regno senza combattere per un bene giusto perché come non vero non l’accettiamo. Chiaro è che non tutto le lotte motivate da dominio sulla vita altra finiscono in sangue. Tutte però, finiscono quando uno spirito (il maschile o il femminile che sia) non è più in grado di subire altre ecchimosi nell’animo. Dosare la determinazione o l’accoglienza diventa una dimostrazione di debolezza? Dipende dal gioco che scegliamo. Secondo quello del vano potere quando è individualistico si Secondo quello universalistico della vita, no. A conclusione raggiunta non so se sono riuscito a dire quanto volevo: aggiunga la sua chi legge. Non sono mai stato capace di dire tutto: men che meno meglio.
ANDANDO PER SCALINI