Colori vaghi

Colori vaghi a sfondo del sogno. Preponderante il grigio. Sto uscendo da casa. In un leggero zainetto da pochi soldi, molto fiorato, metto delle cose. Non le vedo chiaramente ma sento che sono le chiavi, il portafoglio, documento d’identità. Non mi vedo uscire però mi ritrovo a cavallo della bicicletta e fermo nella leggera salita antistante il semaforo sulla strada che a sinistra porta al Ponte Navi e alla chiesa, e sulla desta in zona s.Paolo prima e in XX Settembre di seguito. Il zainetto mi cade.  Passa una donna. Lo raccoglie. Prosegue verso la s.Paolo. Fra il meravigliato ed il seccato, oltre perché impedito dal semaforo non verde, immagino, perché così lo sento, la chiamo, prima forte, poi più forte: Signora, SIGNORAAAA! Non mi sente? Non mi bada? Non può sentirmi? Non vuole sentirmi? Non lo so. Con lo zainetto sottobraccio, la donna si ferma poi sotto la pensilina delle fermate autobus. La raggiungo.

Devo avergli chiesto la restituzione della borsa ma non mi sento mentre devo averlo fatto. la donna trattiene lo zainetto. Tento di strapparglielo con forza! E’ mio accidenti! La donna mi resiste. Perdo la pazienza! La prendo a schiaffi. Mentre lo faccio mi vedo le mani. Sono femminee. La donna mi guarda. Mi pare di conoscerla. Sembra la Cesira ma non pare la Cesira. E’ eguale ma è diversa. Mi guarda come se sapesse chi sono. Mi sorride. Con mestizia, appena prima che la colpissi. Sapeva quello che sarebbe successo? Doveva succedere quello che sarebbe successo? Ha fatto in modo che dovesse succedere? Non so. Sono domanda a posteriori, queste. Visto che con gli schiaffi non ottengo risultati, passo a più pesante metodo. Mentre con la sinistra tento di strappargli lo zainetto che la donna continua a trattenere con forza, con la destra la prendo a pugni sul volto!

Sono pugni maschili. Mentre li guardo, mi domando con sorpresa da dove sono saltati fuori! Non li riconosco, evidentemente. Come se non fossero da me, o di me. Sotto i pugni la donna cade. Forse perché costretta a difendersi dalla caduta con le braccia, la donna lascia la borsa. Finalmente me ne approprio! Giunto allo scopo, mi giro e torno verso il Ponte Navi. Sento che dovrei chiamare un autoambulanza! Mi interessa e anche no. Sento che c’è mancanza di soccorso. Mi interessa e anche no. Sento, non più di tanto pesante, un senso di colpa. Delle fotocamere potrebbero aver ripreso la scena mi dico. Sto, indeciso, fra il preoccupato e no. Mi sveglio. Con la chiarezza della rivisitazione del sogno, si, riconosco la donna: è proprio la Cesira, mia madre adottiva! Con tutto quello che ha fatto per me, io l’ho presa a botte!

Perché “ognuno uccide quello che ama”? Significati del sogno? Potrebbero stare in queste ipotesi. La borsa con i valori simbolizzano le proprietà della mia identità. Trattenendole a oltranza Cesira mi impediva di appropriarmene e per implicito trattenere fra le sue braccia la mia crescita – indipendenza – condizioni che ho potuto attuare (con la sua caduta) solo dopo aver colpito con violenza i legami di dipendenza (forse oltre= misura) che si instaurano fra una madre adottiva o no con un figli* riconoscente e/o comunque dipendente. Siano madri o non ancora giro il sogno a tutte donne.

DENTRO FUORI OLTRE