1) Processo alla vita: é nostra?

Ancora nell’ottobre del 2006, scrivevo quello che, senza ricordarlo, ho scritto in una lettera recentemente spedita al giornale di Verona: è nostro il quadro che pure comperiamo? Come prodotto direi di si, come arte, no. Così per la vita. Non è nostra come arte, è nostra come acquistato prodotto. Per tale forma di proprietà, possiamo decidere di rinunciarvi? A mio avviso, si, perché, non è l’arte della vita data dal Principio che neghiamo, (non lo potremmo neanche volendolo) ma solo la vita come prodotto della nostra arte. La persona, dice la società, è il prodotto di una eredità culturale ed economica basata (vuoi per tutela dei soci aderenti, vuoi per le molte forme di sviluppo, vuoi per quelle della difesa) su una millenaria opera di mutuo soccorso, quindi tu non sei tuo, sei di tutti e quindi nostro. Di tuo c’è soltanto il tuo essere seme di persona, seme di cittadino, seme di religione, seme di te, ma dal momento che il tuo essere pianta di quei semi è stata opera di una cura prevalentemente nostra, ne consegue, che la decisione della società non può che prevalere sulla tua. Ogni altra forma di decisione ti renderebbe anormale, con ciò intendendo, diversamente aderente al contratto che ha permesse sia la tua nascita che la tua crescita. In quanto normale cittadino, tu sei mantenitore_produttore_mantenitore di società anche quando non vuoi più esserlo, e anche quando non puoi più esserlo. Lo sei quando vuoi morire. Lo sei quando non ti permettiamo di morire. Lo sei anche da morto. Poiché ti reclami prodotto della tua arte, allora, della vita nostra non puoi che esserci di danno, perché palese esempio di dis_ordine di quanto abbiamo costituito. La persona, annuisce Religione, non è proprietaria della vita. La vita è del Creatore che l’ha data, e che in quanto Padre la mantiene in vita perché tutto è una sua creatura. La mantiene in tutto anche se il tutto non sa che c’è e che lo fa. Il fatto che la persona possa non essere cosciente di quest’alleanza di vita, non la cassa, perché la dove non c’è la sua coscienza, su di quella ed in quella c’è la divina. Nel tutto che c’è e che la persona è, quindi, non si può dire che la vita è sua. La Società tace. La vita anche. Chi tace acconsente? Non è detto.

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