Il minore Rom

Il minore Rom e la prostituzione maschile.  Il giornale non pubblica la foto di quell’uomo, ma, potrebbe essere questa: anagraficamente parlando è maggiore. Nel caso in questione è un prete, quindi, direi che anche il suo vissuto culturale è maggiore. Sessualmente parlando, però, si confronta con un minore. Si può dire, quindi, che anche la sua sessualità è minore. Possiamo trovare i perché nella culturale ed emotiva dello sviluppo sessuale precedente a quella scelta. Lo possiamo trovare, nella violenza che compiamo sull’umanità quando graviamo un’identità di norme a quella non corrispondenti. Chi conosce più di me, troverà più cause di me. Anagraficamente parlando il minore Rom è un bambino. Legalmente parlando, anche. Lo è come vissuto? Come vissuto il minore Rom (non parlo di tutti i minori Rom, ma solo di quelli che gravitano nella prostituzione maschile) è come una matrioska. Voglio dire, che sull’immagine del suo stato di bambino (o di giovane) il suo ambiente ha sovrapposto molte immagini di adulto. E qui, rilevo la prima violenza che subisce il minore Rom del presente tema. Per l’ambiente Rom (sempre riferendomi a quello in cui si sopravvive per espedienti di vario genere) il suo minore, oltre che bambino, è visto come lo scalino di un reddito da un lavoro che inizia molto prima di maturare la fisicità corrispondente alla soggettiva età somatico&storica. Inizia, fra le braccia dei genitori (o di chi per essi) nel lavoro di questua ai semafori o per le vie o per altri modi. Quello di proporsi (o di venir proposto) come strumento sessuale inizia verso i 12/13 anni ma non li dimostra perché maggiormente provati dal fatto che si deve maggiormente mostrare ai suoi prossimi. Per questo, il minore Rom non è un bambino: è un uomo ancora piccolo. Negli atti del suo mestiere di prostituto (ma direi anche in tutto il suo vissuto) il minore Rom nasconde il suo Bambino, anche al punto da fargli perdere la coscienza di esserlo. Non perché sia un incosciente ma perché non può permettersi (o non glielo permettono) di essere cosciente. Non tanto i suoi prossimi, non glielo permettono, quanto il sistema di vita in cui si trova. Comunque causata, viviamo come disumanità la perdita della coscienza di una parte di noi, ma, il minore Rom avviato al mestiere di prostituto è messo in grado di distinguere l’umano dal non umano? Per il minore Rom, è umano il cliente più gentile, quello più generoso, quello che lo tratta da uomo. Non è umano, invece, il cliente scortese, quello violento, il tirchio, quello che lo tratta da cosa. Chi inizia il minore Rom ad essere trattato anche da cosa? Il fattore primo è senza dubbio l’alveo di crescita. Ad esempio: la promiscuità di vita. Ad esempio, il fatto che anche il padre, in giovinezza, sia stato un prostituto: vuoi per guadagno, vuoi per una naturalezza sessuale da istinto precognitivo. Può essere strada anche un diverso e/o alterno senso della propria virilità. Nella diversa, e/o alterna sessualità, il minore Rom pratica la prostituzione come fosse il gioco tipico della sua età. Lo smette, quando si sposa: generalmente presto. La riprende, (occasionalmente e non sempre per soldi) dopo la nascita del primo figlio. La nascita del primo figlio dimostra al gruppo che l’omosessualità praticata dal minore Rom è rimasta confinata nella sua giovinezza. Dimostra al gruppo, che il gusto di uomo che ha praticato non ha intaccato il gusto per la donna.


Ad ulteriore pensiero in nessun caso è vero che il maggiore si confronta con il minore, come neanche è detto che sia minore la sessualità del maggiore. Per quanto sono giunto a capire, invece, può esser vero che il maggiore trova nel minore di che amare il minore che è stato sia nel caso di violentato come nel caso dell’identità non violentata ma comunque presa da quel gusto sessuale. Comunque sia l’identificante caso (quello del minore pedofilo formato dal suo gusto come anche quello del minore de_formato da quel gusto perché violentato) il minore Rom o non Rom che sia, per il pedofilo è  il parafulmine di tensioni sessuali che il violentato, quasi ma riuscirà a scaricare a terra nel senso di neutralizzare per razionalizzazione. Per razionalizzare un accadimento del genere, infatti, è indispensabile accettarlo come tributo del Caso. Il violentato dal pedofilo sente di non poterlo fare, invece, perché (sé incosciente) vive quel caso come l’ombra che ha tolto luce al suo destino. Guaio è, che se da un lato la violenza subita dal minore è l’ombra che toglie luce al suo destino di maggiore, dall’altro può diventare (per il maggiore violentato come per il maggiore violentante) il paralume che attenua una qualsiasi vista di sé già temuta prima del caso.

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