Questa mattina mi sono svegliato con un irrimandabile dovere (pulire i vetri) così ti rispondo solo adesso. Avrei mandato a fanculo quel dovere più che volentieri ma oggi, con il compito di applicare dei pannelli protettivi sui vetri, mi viene uno sciagurato: veronese si direbbe. Deve avere, invece, delle ascendenze arabe perché per via del senso del tempo e degli orari, è tale e quale. Ho finito adesso e sono senza fiato. Mi sto domandando, da un lato incuriosito e dall’altro preoccupato, come cavolo farai tu con una casa da 700 metri, in via di ristrutturazione come non bastasse. A proposito di Ramadan, speravo proprio che il piccolo se ne andasse a casa per un periodo, invece, non ci pensa proprio! Neanche un naufrago è attaccato a una tavola come questo qui è attaccato al lavoro. In vero sto pensando anche a quanto si é attaccato a me per scopi che non riesco a più trovare, e che in quelli che trovo, non di bastante significato, o guadagno. Del guadagno escludi l’economico. Per quello, un po’ alla volta gli ho limato le unghie. Rimangono, quindi, solo di quelli variamente affettivi, ma sono ipotesi, che a fronte di alcun confronto, stanno in piedi, direi, forse perché me le faccio e me le dico. Fatto sta, che una decina di giorni fa gli consiglio che per ridurre le spese di benzina (quaranta chilometri al giorno) avrei messo un letto nel garage della casa dove abita con il fratello e un coinquilino: abita si fa per dire visto che è sempre qui da me.
Non ti dico la bufera! “Me lo dici perché sei stufo, e vuoi mandami via!” In effetti, non è prevalente, nè una cosa, nè l’altra: prevalente, in me, è il bisogno di capire perché continua una “relazione” sino a vita non separi. Tolti gli interessi reciproci, degli scopi iniziali, è rimasto così poco, che nel farne anche farne a meno, non ci vedrei lutto di sorta se non nella cessazione di amorose abitudini, o nel ripristino della mia solitudine. Solitudine, però, non intesa nel senso di mancati corrispondenti, ma nel solo senso di mancante compagnia. Se della prima mancanza mi sono fatto una stabile ragione, della seconda una variabile necessità: in genere, legata ai sempre più blandi residui sessuali. Nonostante questa chiarezza, mi sento comunque vincolato con il ragazzaccio perché, in me, la riconoscenza per quanto ricevuto di vero è il maggior collante. La riconoscenza che sento la vivo come una sorta di grazia ricevuta che devo retribuire amando (ad ognuno il suo amare) sino a che l’amato del caso pone fine al debito che reciprocamente appaga i “vincolati”. Visto che ha la macchina, stavo pensando di venire da te, almeno per un fine settimana. Guaio è, che lavora anche al sabato, e se necessario ai campi, anche una mezza giornata della domenica. Si, a questo punto, mi manca solo il chador, come non mi manca il titolo di prima moglie. Tempo fa, infatti, m’ha detto che sono sempre il primo. Il che vuol dire che ha trovato un secondo.
Quando succede, la prima “moglie” lo sa sempre. A suo tempo ti sei chiesto se ero veramente un omosessuale. Come amante di simili, direi di si. Perché i simili? Mi sono recentemente risposto: perché amo come la Cesira m’ha insegnato l’amore, e siccome era un amore adottivo, l’adozione è stata la gratuità che ha formato la mia identità per grazia ricevuta quando m’ha adottato a sei mesi. Da tutta la faccenda, se ne può ricavare che, l’amore, (qualsiasi genere di amore) non è che la proiezione (nell’altro/a) del carattere dell’amore ricevuto? Gratis solo se gratuitamente ricevuto? E nella gratuità, quale, l’elemento collante? Una grazia che non ha bisogno di grazie? Alla questione aggiungo i miei saluti e vado a mangiare. Ciao
DEI TEMPI CHE FURONO