Mi sveglio al termine di una bellissima canzone. Della musica mi rimane l’emozione ma niente delle parole. La voce è napoletana ma la canzone non è cantata in napoletano. La direi di Ultimo, la canzone, e Ultimo il cantante. Fra i miei contanti preferiti colloca Ultimo fra i primi. Ammetto, però, che l’ascolto con difficoltà perché non accetto più che sia il dolore ad originare i cerotti per l’anima che diciamo Arte: sia perché li ho finiti sia perché il gioco m’ha stancato! Appena prima di svegliarmi vedo la copertina del disco. Porta l’immagine di una casa. La direi in stile arabo_salentino, La facciata del piano terra è tinta di un grigio invecchiato. Quella superiore in un ocra vissuto.
Appoggiate alla facciata, ai lati della porta di ingresso ci sono due scale in muratura: portano al primo piano. La porta del primo è chiusa e così quella del secondo. Chiuse anche le finestre: due sotto e due sopra. Sia pure leggermente, sento che mi tiene dove sono. Visto che non mi attrae quanto basta, non mi oppongo. La casa occupa tutto lo spazio della copertina. Necessariamente ne ricavo che il canto non poteva provenire da altra parte.
Sento che la canzone è tratta dalla raccolta Mare e Monti. Raccontava di percorsi conosciuti prima o dopo essersi rinchiusa in quella casa, la voce che si cantava. O se impossibilitata ad uscirne, solo immaginati? E per quale scopo ho potuto ascoltarla? Perché anch’io sono giunto alla mia casa (casa nel nel senso di luogo dei vissuti come anche di abito culturale) dopo aver superato monti e navigato mari? E in ragione dell’affine esperienza il sogno mi sta forse dicendo che la voce del sogno mi narra e mi mostra ciò che è perché anche la mia ha porte e finestre chiuse e scale che portano a dove non si può entrare?
E per entrambe le case, questo è ciò che è, oppure deve essere, oppure (se non è e non deve essere) è ciò che rischia di diventare per essere o di diventare per non essere?
DENTRO FUORI OLTRE