La forza dello Spirito umano e la relativa potenza è senza dissidi in ragione dello stato dell’equa misura del bilanciamento fra gli stati:
1
1 1
= 1 perché vita è corrispondenza di stati, non, somma di stati.
Il massimo bilanciamento fra gli stati della vita forma l’assoluto stato del Principio. Dove un principio è assolutamente unitario vi è la massima quiete per il massimo silenzio che accade dove tutto corrisponde a tutto.
Dove tutto corrisponde a tutto vi è l’ unione fra l’assoluto Bene per la Natura
l’assoluto Vero l’assoluto Giusto
per la Cultura per lo Spirito
Dei poveri di spirito come li ho intesi, quindi, si può dire che sono ad immagine del Principio tanto quanto sono a sua somiglianza.
A parentesi verso l’Alto chiusa riprendo il discorso su ciò che viviamo in Basso: per Basso intendo questo piano della vita. In Basso c’è stata anche la parte umana del Cristo raccontato. In quanto vita attuata dalla Vita, certamente anche divina ma questo (secondo i credenti) è lo stato di principio di ogni vita attuata dal Principio. I coscienti della loro divinità perché divinizzati dallo Spirito del Principio non per questo possono esser detti ricchi per possesso di ulteriore spirito. Lo Spirito, infatti, essendo un assoluto può essere solamente la Forza e la Potenza della vita del suo assoluto stato: ne consegue che può dare ciò che è (vita in assoluto principio) e non può dare ciò che non è: vita con più stati di vita. Se il Principio avesse più stati di vita, o avremmo più principi come al tempo degli Dei, oppure, nessun Dio perché, al principio, nessuno (dei molti stati in ipotesi per amor di tesi) con la forza e la potenza di Principio sovrano, appunto perché primo.
Se non può essere lo Spirito della vita il concessore di ciò che non è perché non ha più stati di vita, di chi i cosiddetti “doni dello Spirito”? A mio vedere sono di chi “dona” la forza e la potenza del proprio spirito alla forza e alla potenza di altro spirito. In questo stato della vita quel genere di dono si manifesta nelle molte forme della generosità. Quanto accade in Basso accade anche fra Alto e Basso? Secondo me, si. E’ un problema? Per principio direi di no perché tutto è via per capire ciò che è vita da ciò che non lo è in ragione di infiniti stati di non_vita. Vi è non_vita dove vi è l’errore che porta al dolore come anche il dolore che porta all’errore. Nel tutto che serve a capire la vita quanto siamo in grado di capire (sapere e/o verificare) per quali motivi avvengono i doni che diciamo carismi? Al proposito ogni carismatico pensa quello che crede vero e giusto. Quasi sempre, però, dimenticando e/o rimuovendo l’ovvia verità: sa quello che dice ma non sa di cosa parla.
Non lo può non per addebitati limiti ma proprio perché nessuna conoscenza può superare i limiti (culturale e spirituali) contenuti dall’essere il suo stato. Chi li supera dis_perde la sua identità in altri e inconoscibili stati. La spiritica concessione del dono succede perché vi è vita che dona vita (l’assoluto principio di sé donato dal Principio) o perché vi è vita che concede il suo potere per lo scopo di maggiorare il proprio e/o con il proprio imperare su quello altrui? Quanto comunemente accade in Basso fra bassi (la disinteressata e/o interessata concessione di stati della forza e della potenza personale) accade anche fra gli Oltre che diciamo in Alto e i Presenti che diciamo in Basso? Per quanto “conosco” del sistema vita (la corrispondenza di stati in tutti e fra tutti gli stati) direi proprio di si!
Non tanto per diretta esperienza (su questa si può opinare fino a che si vuole!) quanto perché, dato il sistema testé detto, la vita non può essere separata da sé stessa in nessun stato e fra nessun stato fra gli stati. Ne deriva che tutto è collegato con il Tutto. Stante così le cose e potendole dire un inscindibile Tutto, nulla (per principio) può esser detto estraneo all’essere e all’esistere perché (sia nella povertà che nella ricchezza di spirito) tutto è necessario accadimento. Quindi anche l’errore? Quindi anche il male? Il male è il dolore naturale e spirituale da errore culturale. Si può dire, allora, che vi è virtù nella beatitudine dei poveri come anche in quella dei ricchi, tanto quanto è assente il dolore sia perché non lo patiscono sia perché non l’agiscono. Penso al dolore come fonte di verità, appunto perché il dolore sente l’errore come male.
Sia per chi lo attua come anche per chi lo subisce, il dolore può diventare un piacere. Lo direi errore anche in questo caso perché l’accettazione del male è contraria all’accettazione del Bene: principio del Principio. Direi legittima l’accettazione del dolore quando è volontaria accettazione della vita in tutti i suoi stati. Non ignoro che su questo piano della vita è pressoché impossibile non subire e/o non patire il dolore. Possono esser detti Beati, allora, solo gli incoscienti che non sanno perché recano dolore e/o non sanno perché lo patiscono? Mah! Raccontano che il Cristo evangelico pensò a questi prima di tornare al Principio che, a quanto si racconta, volle come Padre e come Padre indicò.