Trovo insufficiente e sviante la definizione di “moderato” data all’Islam che intende mettersi in corrispondenza di vita con il paese che l’ospita. Vi è il rischio, infatti, che la moderazione spirituale del credente islamico, venga intesa, (o fatta intendere), come dovuta ad una mitigazione, o peggio ancora, occidentalizzazione, della sua fede. Più che in moderato o fondamentalista, quindi, dovremmo distinguere l’Islam in “confidente”, ed in “diffidente”. E’ confidente l’Islam che accoglie la volontà della Vita: il Dio in cui crediamo, al di la del nomi che Gli diamo; è diffidente, invece, l’Islam che si arroga l’arbitrio di sovrapporre la volontà della sua vita su quella della Vita.
Come distinguere la nostra volontà da quella della Vita e, quindi, distinguere l’Islam confidente da quello diffidente? In ogni cultura religiosa, il principio della vita è il Bene. Ne consegue, pertanto, che nella nostra volontà di credenti non vi può essere quella del dolore tanto quanto non perseguiamo il Suo principio, appunto, il bene. In quanto antitesi del bene, il dolore è il principio del male in tutti i generi di errore. Da ciò ne consegue, che non vi può essere bene divino o umano, dove rechiamo martirio in noi, in altro da noi, e nella vita. Dove sui sensi della vita umana e divina non vi è una comune intesa culturale fra religioni, quindi, non può non esservi spirituale intesa quando generiamo motivi d’urlo nella reciproca umanità.
Essendo cristiano non dovrei permettermi di “predicare” alla fede mussulmana un ritorno alla sua origine, ma se l’accoglienza della volontà della Vita è principio fondante della fede islamica, non di meno lo è stato di quella cristiana per mezzo di una ragazza e di un pescatore di quelle parti. Ci sarebbe da dire anche sulla diffidenza del cristiano verso una volontà di vita che non conosce, o che conoscendola non accetta. La stessa dissidenza è dell’islam verso altre fedi ma Dio è il più grande per tutte e su tutte, quindi, “diamoci una calmata.”: tutti!