“Lo sguardo di Dio”

Signor Direttore: mi scuso per la seconda spedizione ma nella prima c’erano varie insufficienze. Con questa, invece, sono da Inquisizione! Con la prima, anche questa lettera rischia di essere sentita come un sermone. Diversamente, prova ad essere il logico svolgimento di un tema: “Lo sguardo di Dio”. Argomento poco attinente alla sua Rubrica, mi pare. Glielo spedisco lo stesso perché è dalle angosce sue e del signor G. che ho ricevuto l’impulso di scriverlo. Per rispondere ai turbamenti espressi da lei e dal signor G. nella lettera “Dio ci guarda dal primo momento della vita”, sono andato a vedere se chi ci guarda, è lo stesso Dio. In effetti è lo stesso, però, io lo guardo da un altro punto di vista. La parola è l’emozione della vita che dice sé stessa.

Siccome al principio c’è solo il Principio, la Sua emozione è sovrana. In quanto tale, assoluta. L’emozione di una vita sovrana perché assoluta, non può pronunciare nessun altro vocabolo, quindi, al principio vi è il Verbo, (sono), ed il Verbo è Parola (vita) presso la Genesi per come la vedo. La prima emozione di un essere, però, non manifesta il suo nome, ma la presa di coscienza del suo Essere. Prima di esserci il Suo nome, pertanto, c’è l’emozione concessa da quella presa d’atto. Se l’emozione conseguente alla presa d’atto è stata quella di sentirsi in vita, la prima parola di quell’essere non può essere stata che: vita. La mia immagine di Dio, cosa comporta?

Principalmente, comporta che prima di essere Nome, il Verbo è Vita, e che questo è il Suo primo titolo; comporta che da Sé stesso, il Verbo si è fatto vita già in Sé stesso; comporta, che essendo la Sua vita, prima parola, è primo profeta; comporta, (ammesso ma non concesso un termine alla vita), che sarà anche l’ultimo. Essendo il primo ed ultimo profeta della Sua vita, comporta anche, che al profeta Maometto seguirà il massimo concetto di Cristo: l’idea di Padre universale, perché universale emozione, dell’universale parola, che ha detto l’universale vita. Perché, al Profeta, seguirà il massimo concetto di Cristo e non la persona di Cristo?

Secondo me, perché dopo aver già concepito il Padre come massima idea di Verbo e di Vita, cos’altro può dire di più cardinale, se non ripetere il già detto? In quanto vita assolutamente sovrana, il Principio comprende solo sé stesso. Nel comprendere solo sé stesso, c’è di che rilevare una Sua indifferenza nei nostri confronti? Possedendo il Suo stesso principio (la vita), possiamo essergli indifferenti, solo se fosse indifferente a sé, quindi, non è pensabile. Accusiamo il Padre di indifferenza ogni volta lo cerchiamo nell’errore che porta al dolore, ma come possiamo trovarlo nella sofferenza (atto di meno vita, sia imposto che patito) se il Suo principio è vita, non, dolore?

Qualche volta mi domando se siamo a posto con le carte! Lo ascoltiamo dove non c’è, e poi Lo accusiamo di mutismo! A proposito dei conflitti che si sospetta fra Dio e Satana. Sono certo che anche alla ragione di un profano risulta chiaro che vi è impossibilità di confronto fra Creatore e Creatura, per quanto la seconda possa essere (sia pure divergente) a maggior somiglianza. Evidentemente, troppe emozioni fanno perdere il filo del discorso anche ai dotti. Tornando a me, da quando mi sono riappropriato di me stesso perché ho allontanando mani vicarie dalla mia ragione, non soffro più di angosce. Se lo crede opportuno, passi parola.

Dal mio punto di vista

LA PAROLA E’ L’EMOZIONE DELLA VITA CHE DICE SE’ STESSA


Anni che furono, fra sonno è veglia una bellissima voce di donna mi disse: cristiano non cristiano. Lo fece tre volte. Ricordo che mi svegliai un pochino irritato: mica ero sordo! No, non l’aveva detto tre volte perché mi aveva reputato sordo. Me l’aveva detto tre volte (come poi ho intuito) perché gli stati di principio della vita sono tre, quindi, una volta per la Natura: il corpo della vita comunque effigiato. Una volta per la Cultura: la conoscenza della vita comunque ottenuta. Una volta per lo Spirito: la forza della vita comunque agita. Ulteriormente me le spiego (quelle tre volte) perché la vita nel nostro stato è trinitario_unitaria,

e stato di infiniti stati di vita. Per questo, soggetta ad essere trinitaria e non trinitaria secondo Natura.

Trinitaria e non trinitaria secondo Cultura. Trinitaria e non trinitaria secondo Spirito. Quello che vale per la vita e per la nostra vale anche per i miei discorsi: sono comuni e non comuni, comuni e non comuni, comuni e non comuni. L’affermazione si prova di per sé. Ulteriormente spiega perché il Mondo è pieno di infiniti linguaggi. Infinite, infatti, sono le emozioni che si sono fatte verbo e parola. Il Principio è nel verbo Io sono, e Vita nel dirsi secondo emozione, ne consegue che il Principio ha attuato il suo principio: la vita. Ogni religione ha dato nome al Principio in ragione della sua Cultura, ma secondo la mia lo nomino per attributo perché “non amo nominare invano e/o in modo vano”.

La mia parte non cristiana (non perché contrario ma perché pensiero altro) non sa perché il Principio sia già stato detto Verbo e Parola. Nel dire il mio perché, allora, spero di non star facendo la scoperta dell’ombrello! Se ammettiamo che il Principio sia a somiglianza della nostra immagine, dobbiamo anche ammettere che il Principio sia in grado di dire a sé stesso, sia chi è che cosa è. Ammesso il Principio che universalmente immaginiamo, cosa può dire di sé quel Principio? Sentendosi vivo dirà IO SONO e nel dire il Verbo dirà la Parola: VITA. Baso questa versione sulla Cultura nota, ma della religione nota io sono dentro e fuori, dentro e fuori, dentro e fuori.

Ne consegue, che la parte fuori del mio pensiero ha anche altri pensieri. Giusto per citare il fondante, il mio Principio è lo Spirito: la forza della vita sino dal principio e dello stesso Principio. Vero è, che il Principio è assolutamente unitario. L’Uno che è, quindi, è di inscindibile stato. Posso considerare su una parte del Principio, quindi, solo per amor di pensiero. Per questo amore, l’abbiamo pensato secondo Natura: è sono nati gli Dei. L’abbiamo poi pensato secondo Cultura e sono morti gli Dei. Invece, pensandolo secondo Spirito (forza o potenza del Principio) muore la vita solo se (in questo stato della vita) muore la sua forza ma i principi non muoiono.

Men che meno il Principio della vita di ogni principio. Essendo il massimo principio la vita del Principio è assoluta. Un assoluto non può originare altra identità, altri principi, altro nome: può solo sé stesso, quindi, c’è un solo Principio. In quanto assoluto del il Principio si può dire una sola verità: è quello che è.

SPIRITI

Spiriti della vita o della mente? C’è chi sostiene che non esiste un sovra stato della vita, e che, quindi, non esistono neanche gli spiriti. Chi è di questa opinione afferma che gli spiriti non sono altro che voci provenienti (e/o fatti provenire) da altri stati della mente. Soprannaturali o sovra mentali che sia, nessuna verifica li può provare e nessuna verifica li può smentire, così, ognuno crede vero quello che crede vero. Il problema che ci pone lo spiritismo, allora, non è – esistono o non esistono gli spiriti? – ma, indipendentemente dal luogo di provenienza, se sono o non sono attendibili. Io sono di questa idea: dal momento che al di fuori dello stato naturale della vita esiste il male, e dal momento che al di fuori dello stato della mente esiste l’errore, in ogni caso, non possiamo considerare attendibili quelle voci. Per quell’inattendibilità, diventa inattendibile anche chi le segue. Non tanto perché alunni del male (per esserlo è necessario perseguirlo in piena coscienza) ma perché alunni dell’errore quando non maestri.

PER QUANTO ANCORA

DENTRO FUORI OLTRE


Caro Francesco, tutti i credenti sono giunti ad accettare l’idea dell’unico Padre. Diverse solo le nostre interpretazioni. Fra le tante, quale la più grande perché la più vera? Quella biblica che lo narra simile al dispotico sovrano che fa e disfa la vita incurante della carne, sia dei sottomessi, sia di chi intendeva far sottomettere? Non so quando il Cristo evangelico smise di accettarlo così. Per quanto raccontano, quello che so, è che smise. Non per perdita di fede, smise, ma, evidente ipotesi, perché quel Padre non corrispondeva ai suo bisogni di figlio. Del Padre riesco a immaginare solo i principi della sua vita: Natura per quello che è; Cultura per quello che sa; Spirito per quello che sente.

Naturalmente, lo posso perché ho elevato al Principio i nostri principi: Natura per quello che siamo; Cultura per quello che sappiamo, Spirito per quello che sentiamo. I principi del Padre sono assoluti. I nostri, a quell’Assoluto somiglianti. Passami la ripetizione dei pensieri che seguono. Sono come le travi che reggono un soffitto: necessariamente ripetute. Poiché corrispondenza di stati fra Natura, Cultura e Spirito, la vita originata dal Padre è trinitario_unitaria. Il Padre, invece, è l’Uno; lo è perché gli stati al principio sono unitari in assoluto. Se così non fosse, avremmo più principi, in conflitto per bisogni di supremazia. Non risulta da nessuna parte che i bisogni di supremazia siano tipici del Padre.

Ben diversamente risulta dalle idee dei figli sul Padre. Il Padre, in quanto vita in assoluto, è identità, in alcun modo scissa. Se in alcun modo scissa, non può originare che un’unica volontà di vita; dare vita a sua immagine: perfetta! Certamente non sono io quello che sa cosa possa o non possa il Padre. Mi domando solamente: può fare qualcosa di illogico, con ciò intendendo dire un qualcosa che contraddica i suoi principi? Sia per fede che per ragione, secondo me, assolutamente no. Un Assoluto non può proiettare che il suo assoluto, e se assoluto Bene del Padre è ciò che proviene dal suo assoluto Vero perché assolutamente Giusto, assolutamente può operare solamente concedendo il suo assoluto principio: la vita.

Può una potenza (quella che origina la vita) contenere ciò che toglie potenza? Se deriva da un assoluto principio, no. Nell’assoluto principio concesso dal Padre, quindi, non ci può essere nessun errore, nessun dolore, nessun male. Se per molti motivi e/o modi la vita a sua Somiglianza viene scissa (lacerata e sinonimi) fra i suoi principi trova posto l’errore che porta al dolore che porta al Male. Il dolore è il male naturale e spirituale da errore culturale. E’ sommamente importante, quindi, che nulla di esterno alla data vita la separi da sé stessa. Tanto quanto non vi è separazione fra stato e stato, e tanto quanto vi è comunione fra stato e stato.

Non vi può essere comunione fra stato e stato, dove non vi è amore fra stato e stato. Essendo un principio assoluto, il Padre non può non essere che l’assoluta comunione fra i suoi stati. Per questo, è la massima immagine dell’Amore. La storia di Cristo mi fa pensare che nel genitore che ama trovò l’idea di Padre che corrispondeva ai suoi bisogni. Dicendolo d’Amore (il Padre promosso dai suoi bisogni) gli diede nuova immagine. L’amore permette la comunione che permette la vita. Guaio è, però, che pur permettendo la trasmissione del potere della vita, (e, quindi, del Padre) l’amore non permette la trasmissione del potere di vita su vita.

Guaio è, ovviamente, per quelli tentati da quell’imperio, come per quelli che lo attuano e/o lo perseguono: penso al Principato e alla Religione. Vero è, che senza il Principato e Religione come li conosciamo non si costituirebbe nessuna Società come la conosciamo. Si può dire anche vero, però, che una società è legittima tanto quanto concede suoi cittadini quanto è giusto perché bene al vero, e che è malsana tanto quanto non rispetta quella verità. Ciò vale anche per la Religione quando si fa politica. In vero, per tutte le religioni quando si fanno politicanti per questioni che nulla hanno a che fare con il Padre. Per quanto mi riguarda non ho perplessità nei confronti del Padre secondo Cristo.

Sono più che perplesso, invece, nei confronti di quelli che si dicono Vicari di Cristo (e, quindi, del Padre) mentre, più che altro, dimostrano di essere gli interessati esecutori testamentari di un’idea che seguono secondo opportunità, più che secondo verità. Non sto parlando di te, Francesco: dai discorsi, i presenti sono sempre esclusi. Giunti al punto, che fare, Francesco? Visto che la Barca comunque va, continuare così? Visto che la Barca comunque non potrà andare più di così prima di arenarsi in qualche lido, fare quello che fece Cristo, e cioè, pensare una nuova idea di Padre? E secondo quale verità? Quella indicata dal Bene che è Giusto tanto quanto è Vero mi viene da dire. Guaio è, che del Bene, che è Giusto tanto quanto è Vero, non tutti hanno la stessa idea.

Quale, l’universalizzante non solo a parole? Quello che non ho trovato nella Cultura l’ho trovato nella Natura: il corpo della vita. Nella Natura, vi è verità tanto quanto non vi è dolore. Tanto quanto non vi è dolore, e tanto quanto la Cultura della Natura permette la comunione che porta all’amore che porta all’Amore. Lo so: il guaio maggiore di un’idea che trovo persino ovvia sta nei pastori. Nella ricerca di pascoli per le pecore così abitudinari quando non aggrappati a cattedre e/o a bastoni. Anni che furono mi sono ritrovato in una situazione particolarmente complicata. Mi rivolsi al Don Ottorino: prete dei Filippini in Verona. Me la risolse. Non risolse quella legata alla mia identità sessuale, ovviamente.

Nella mia gabbia, però, apri un piccolo sportello: lassa fare a Lu! (Lascia fare a Lui!) Mentre lo diceva ho pensato: sto qua l’è mato! E se i pazzi avessero ragione, i sani quanto sono in grado di capire (ed accogliere) il Suo intervento? E se per molti motivi spaventati non l’accettassero, sceglieranno Barabba? Ancora?!

CI SONO PULSIONI

Ci sono pulsioni, determinanti al punto da conformare e confermare una chiara identità sessuale. Se prevalentemente dirette verso la figura maschile si può dire che l’insieme di quelle pulsioni (sessuali ma non di meno esistenziali) conformano e confermano la figura Omosessuale. Ci sono delle pulsioni sessuali non determinanti sino a quel punto. Per questo, il portatore di quella pulsione non è un (o una) Omosessuale pur avendo gusti omosessuali. Darei il nome di Omofilia a quel parziale trasporto verso la figura naturalmente simile.

E’ un sentimento (l’omofilia che sostengo) che può attuare anche il piacere sessuale, ma, altro non coinvolge se quel sentimento è conosciuto e accettato. Dove non é conosciuto e accettato, invece, l’identità procede con paura, come con paura si procede quando, in un dato terreno, non sappiamo distinguere la parte ferma dalla parte mobile.

COSA DICE LA PAROLA?

Per amor di tesi ammessa la facoltà di parola, di coscienza e di vita come in noi la conosciamo, quale, al principio e del Principio, la prima? Secondo questa strada.

LA PAROLA E’ L’EMOZIONE DELLA VITA CHE DICE SE’ STESSA 

In ogni condizione dell’essere lo stato della coscienza corrisponde allo stato della conoscenza circa la sua vivenza.

Se ammettiamo assoluta la vivenza dell’identità al principio che i credenti nominano Dio (e che per rifiuto di nominare invano dico Principio) ammettiamo assoluto anche il riconoscimento di sé attuato dal Principio.

Ciò che è della Somiglianza, infatti, può non essere dell’Immagine? Direi solo nel caso che l’eguaglianza fra Immagine e Somiglianza si basi dove i deputati al dire e al sapere non hanno saputo (e/o voluto, e/o potuto) guardare il Principio della vita senza teologici velari.

Se l’avessero fatto avrebbero visto che se la vita della Somiglianza al principio di ogni principio è fatta così

NATURA

CULTURA                                             SPIRITO

non di meno (sempre al principio di ogni principio) è fatta così

NATURA

CULTURA                                             SPIRITO

anche la vita dell’Immagine.

In quanto sovrana perché prima, la vita del Principio è data dall’assoluta unità dei suoi stati. Gli stati della Somiglianza (unitario_trinitari) non possiedono lo stesso stato della vita del Principio. Al principio, infatti, non possono esserci due principi. Ne consegue che ad ogni stato è dato il suo principio.

Uno stato composto dall’assoluta unità dei suoi stati può emanare solamente la Forza e la Potenza del suo  Essere: la dico Spirito.

L’Essere della Somiglianza contiene l’Essere dell’Immagine (la potenza della vita) in ragione dello stato del suo spirito: la potenza della sua vita.

Poiché vi è un solo Principio, non vi può essere diverso caso e/o sovrapposizione di principio su Principio.

Per questo, nessuna parola principiata (nessuna vita) può collocarsi e/o essere collocata prima della Parola: la vita del Principio.

L’emozione della vita drl Principio è stata Nuova Parola già dal suo principio.

Ne consegue che fu prima Profezia e che il Principio della vita (comunque si pretenda di conoscerlo e/o di chiamarlo e/o di invocarlo) è primo Profeta.

Dato il suo assoluto lo è prima di ogni vita. Lo è dove c’è vita. Lo è dove la sua Immagine sta.

ps. Mi sa che ho scritto un girone di parole! E’ andata meglio al Principio.: Ha detto tutto dicendone solo una: vita! Non imparerò mai! 🙂

GIORNI FA UN PENSATORE

Giorni fa, un pensatore dal nome che direi di origine polacca, (se non altro per le y e k nel suo cognome) si stava chiedendo se lo Stato può sopravvivere senza il sostegno della Religione. Secondo me, la domanda da porsi é quella contraria. Si chiedeva, inoltre, se esiste la morale laica, e se sia di bastante, e/o alternativo sostegno sociale. A mio avviso, la risposta è si, per ambo le domande. Perché? Perché il concetto di Bene (personale e sociale) è pre – religioso.

Nel senso che ha preceduto e contribuito a fondare ogni idea religiosa. Il concetto di Bene, è correlato al concetto di sopravvivenza: quella del corpo in primo. Funzionale alla sopravvivenza fisica fu la scoperta del concetto di Vero. E’ vero, infatti, ciò che favorisce il bene. Funzionale al concetto del Vero, fu la scoperta del concetto di Giusto. E’ giusto, infatti, il bene che favorisce il vero (se giudichiamo un dato atto dal punto di vista naturale) come è giusto il vero che favorisce il bene, se giudichiamo un dato atto dal punto di vista culturale.

La corrispondenza dei concetti fra il Bene

il Vero                      ed                     il Giusto

ha motivato la scoperta del concetto di Giustizia

Ciò che non è giusto perché non da piacere di bene e di vero, ha originato il concetto di dolore (sotto l’aspetto naturale) di errore (sotto l’aspetto culturale) e di male, sotto l’aspetto dello Spirito: forza della vitalità nella Natura e di vita della Cultura. Mi direte: quello che è bene per me, non necessariamente è vero, e quindi, neanche giusto per un altro piacere. Verissimo. Dalla constatazione, infatti, sono nati due concetti: il soggettivo, e l’oggettivo.

Nel contesto, per oggettivo considero un piacere relativo solamente a me, ed oggettivo, un piacere relativo ad altri da me. Allo scopo di permettere la coesione fra specifiche individualità, (onde permettere la sopravvivenza del bene collettivo) fu necessario fissare delle norme comuni: le oggettive. L’adeguamento a quelle norme formò la prima morale collettiva; e fu naturale, quella iniziale morale, perché nacque dalle esigenze di vita del corpo: vuoi singolo, vuoi collettivo.

Tanto quanto servì alla sopravvivenza della vita singola e collettiva, e tanto quanto la morale naturale, allora codificata, divenne vera, e quindi, giusta. Quello che è vero e giusto sulla carta, però, raramente rimane vera e giusta nella vita. Perché? Perché il bisogno di sopravvivenza (di un singolo e/o di una collettività che sia) è un piacere che può trasformarsi in potere, ed il potere, può mutarsi in sopraffazione: vuoi di singolo su singolo, vuoi di collettività su collettività. Il potere che porta alla sopraffazione cassa i valori della morale naturale che ha originato la culturale, ed in seguito la religiosa.

Nel pessimismo provocato dal riconoscere che la morale naturale non è bastante difesa contro i soprusi del potere, (della natura e/o dell’uomo) gli Antichi sentirono il bisogno di maggiori ausili. Chiamarono Dei, quegli ausili, e li fecero a propria immagine e somiglianza. Vi è conflitto fra morale naturale e morale religiosa? Dipende dal piacere di chi segue l’una o l’altra morale. Se in chi segue l’una o l’altra morale, il piacere gli diventa potere, ed il potere, ricerca di supremazia di uno o dell’altro pensiero, allora vi è inevitabile conflitto!

Può, la morale naturale, esser causa di conflitto con la morale religiosa? A mio avviso, no. La morale naturale, infatti, è molto più tollerante della morale religiosa, perché calibra ciò che è giusto al vero con il bene, mentre, la morale religiosa, calibra, ciò che è giusto al bene con un vero, del quale si reputa unica detentrice. La morale naturale, non sostiene di sapere cos’è la verità. Diversamente, lo sostiene la morale religiosa. Legittimo punto di vista, ma come la sostiene? Con un atto della fede. La fede non ha corpo, quindi, è provata solo dalla speranza in un Credo.

La morale naturale non si oppone alla speranza in un Credo, al più, non ci crede. Questo scetticismo, certamente non invalida la sua capacità di poter concorrere alle necessità unificatici dello Stato, e neanche la sua ricerca verso il bene individuale e sociale. Non trovandola in conflitto con la morale religiosa, quindi, (o quanto meno, con la mia morale religiosa) non vedo perché non debbo accoglierla, ed al caso, difenderla. Tanto più, perché non mi risulta che abbia un debole per le crociate e neanche per le crocifissioni.

FRA SPIRITI

M’inoltrerò nel discorso partendo da necessarie premesse.

  • Lo Spirito è la forza della potenza della vita; è forza sotto l’aspetto naturale ed è potenza sono l’aspetto culturale.

  • Allo Spirito somiglianti, così gli spiriti: forze della vita che furono su questo piano della vita e che sono nel piano della Vita.

  • Nel piano della Vita (l’Universale) lo Spirito è forza e potenza prima ed è il Principio che ha originato ogni principio. In quanto potenza prima perché al principio, è ed ha uno stato assolutamente unitario.

  • In ultima ma non per ultimo: la parola è l’emozione della vita che dice sé stessa.

  • Questo piano della vita ha stato trinitario_unitario. Lo stato è originato dalla corrispondenza di forza e di potenza fra tutti ed in tutti i suoi stati.

Al principio.

NATURA

CULTURA                                                SPIRITO

Ora, perché gli spiriti non possono parlare? Ovvia, la prima ragione. A quella ragione suppliscono facendo parlare chi è in grado di “udirli” tramite il sentire. Tramite il sentire l’ascolto avviene “non per orecchio”. La vita che avviene in ragione della corrispondenza di forza e di potenza fra stati non ha mai lo stesso stato. Uno spirito che in ragione della corrispondenza fra i suoi stati ha raggiunto la misura cinque resta in quella misura solo fermando la corrispondenza di forza e di potenza fra i suoi stati. Facendolo, però, a quello stato fissa la condizione del suo stato. Facendolo, però, fissa anche la sua forza e la sua potenza allo stato raggiunto. Per questo, fissa anche l’esistenza del suo bene, del suo vero, e del suo giusto al dato stato.

Al dato stato ne consegue la stasi del suo stesso spirito. Questo è possibile solo alle forze variamente non coscienti di sé, oppure, alle forze che intendono restare (per varia vanità, o desiderio di vita e/o di umana potenza) nello stato che avevano raggiunto su questo piano della vita. Non so se per visione mentale o se per sogno mi è capitato di vedere e di essere visto (in ambo i casi per fulmineo tempo) da un papa ancora in trono e ancora vestito da alta cerimonia. Da sveglio, l’insieme della statuaria immagine me lo fece pensare un Mosè; e quel Mosè mi guardò come chi non sa capire quello che vede: chiudo la parentesi. Come la vita su questo piano è continua corrispondenza di forza e di potenza, così anche in quella del piano ulteriore.

La corrispondenza di stati rende mutevole lo spirito che, esemplificando, passa, così, da un già ipotizzato valore 5 ad uno maggiore o minore. Vedendo uno spirito come una corda da strumento musicale si noterebbe che il passaggio da uno stato maggiore a uno minore (come di converso) lo fa vibrare. Per questa possibilità lo dico diapason: “estensione dei suoni che una voce o uno strumento può avere dal tono più basso al più alto”. Anche lo stato della forza e della potenza del nostro spirito ci rende, vibrando, dei diapason. Delle emozioni si può dire che sono i toni della nostra forza e della nostra potenza. Per corrispondenza di spirito ricevendoli (è comune esperienza) siamo in grado di comunicare informazioni anche senza voce.

Analoga possibilità succede nella comunicazione di vita fra questo piano e l’ulteriore. Concludendo le ipotesi, si può affermare allora, che gli spiriti parlano in un solo modo: facendo dire di loro chi è in grado (recependo i toni delle loro emozioni) di diventare le loro corde vocali. Nei medium in buona fede, quelle manifestazioni sono vere, ma quanta Verità ci sia negli spiriti che si manifestano e in quelle comunicazioni nulla lo può confermare. Di fatto:

il Male può fingere il bene molto bene tanto quanto è male. Ne consegue, che il male può essere maggiore dove maggiore la rivelazione.

Ne consegue, pertanto, la loro inattendibilità. Lo stesso quando si “mostrano.”

Io sono vita

Cosa intendeva far capire quel biblico stesore quando con poetica (ma criptica ovvietà) ha scritto “In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”? La prendo un po’ larga ma poi arrivo al punto: punto che è circolare nel senso che quello di partenza è indistinguibile da quello d’arrivo. Ammettendo al principio un’esistenza capace di vita umana nella versione divina, dobbiamo anche ammetterla capace di discernere su di sé. Un discernimento sovrano perché primo di ogni pensiero, cosa mai può dire se non ciò che è? Cos’è? Lapalissiano, direi! Sentendo sé e sentendosi in vita, dirà

IO

(Coscienza dell’Essere)

SONO                                                        VITA

(Coscienza del Sapere)                     (Coscienza dell’Esistere)

Non dirà IO SONO (IN) VITA perché ciò ammetterebbe una precedente conoscenza che prima del Principio di ogni principio non può esserci stata.

Ora, o al principio di ogni principio ammettiamo una qualche sofferenza da dissociazione, oppure, necessariamente, nessuna parte è separata da un altra, appunto come mostra l’affermazione come l’ho composta. Ovviamente, almeno per me, lo stato trinitario dell’immagine, nell’assoluto principio del Principio è assolutamente unitario. Ne consegue che ogni parte del identità del Principio è, ed è, inscindibilmente presso di sé.

Preciso: sto interpretando una storia non sostenendo che sia vera una spiegazione che almeno a vista pare proprio che non faccia piega.

VERSO IL BENE, L’OLTRE, L’ALTRO.

L’anelito universale (e universalizzante) è nella tensione verso

il Bene

verso il Vero                             verso il Giusto

Dopo di che, ognuno scrive gli aneliti particolari secondo la propria calligrafia. Mi distinguo dal pensiero che citi per un particolare. La vita, è dialettica non lotta. Il fatto che l’abbiamo resa lotta, non appartiene alla vita: appartiene al carattere della nostra. La vita è un impulso di fame. Il male è in ciò che mangi o in come mangi. Distanziarsi dall’impulso rende anoressica la mente. Il che vuol dire, con buona pace del Budda, che quelli che seguono il suo insegnamento rischiano di vedersi costretti a riaccostarsi alla mensa (la vita) e a doversi cibare di ciò che hanno scartato. La conoscenza rende liberi (non mi ricordo più chi l’ha detto però concordo in pieno) infatti solo la conoscenza attuata dal costante discernere sui cibi, può effettivamente liberare il karma dalla fame di vita, e, quindi, dal dover tornare a questo ristorante. Il messaggio di Cristo tratta innanzi tutto di un Dio padre. Il fatto che sia buono è, per Cristo, una logica conseguenza di Padre ma non è il primo attributo. E’ una logica conseguenza perché è inverosimile, per Cristo, che il Dio che attua la vita sia cattivo. Se lo fosse, per principio avrebbe attuato il dolore. Dio non può attuare due principi. Essendo assoluto, non può, infatti, che concepire il suo assoluto e secondo me il suo assoluto principio è il Bene. Al significato di sottomissione che dai dell’Islam preferisco abbandono. Nella sottomissione è implicita la pena del padronaggio sugli impadronati. Nell’abbandono, invece, la cultura della fede. La seconda è dei mistici sufi. La prima, dei mullah. Sai bene che non sono la stessa cosa né stessa cosa gli impliciti.

PER – STATO – INTENDO

Per – stato – intendo la condizione naturale, culturale e spirituale della rispettiva identità. Avendo tre stati, la vita è trinitario_unitaria.

E’ assoluta unità fra i suoi stati solo al principio di ogni principio. Nel nostro principio è unitaria in ragione della misura di ricongiungimento fra i suoi stati. Possedendo gli stessi stati di principio, necessariamente ne consegue che l’immagine della vita particolare somiglia all’immagine della vita universale. La differenza fra la Particolare e l’Universale è detta dallo stato del rispettivo stato: assoluto al principio e dello stesso Principio. Relativa al nostro stato il nostro principio. Vita è corrispondenza di stati, non, somma di stati. Al principio, quindi, Il Principio è l’assoluta unità fra i suoi stati. Per questo, è detto l’Uno. L’Uno è l’Immagine della vita. La nostra (all’Immagine somigliante) è, necessariamente, trinitario_unitaria.

Lo stato trinitario della vita è unitario tanto quanto agisce l’equa corrispondenza fra gli stati. Una informazione non corrispondente allo stato (naturale – culturale – spirituale) di una data vita, quindi, scinde il rapporto di forza fra gli stati. Scindendola, mina una Natura e la dissocia dalla sua dalla Cultura. Così facendo si ammala di estraneità. Lo Spirito è la forza della vita che ha originato il suo principio: la vita. La vita, quindi (sino dal principio e dello stesso Principio) è continua manifestazione della sua potenza. Lo Spirito del Principio non è tanto né poco: lo Spirito è vita, e il suo spirito (la sua potenza) vitalità. Lo Spirito è la vita della Natura che ne recepisce la forza secondo la sua Cultura.

Come un muscolo è l’immagine della sua forza, l’immagine dello Spirito è la vita soprannaturale e naturale di cui è forza. Secondo la conoscenza di ciò che è alla coscienza, come la forza del nostro spirito è tramite di alleanza fra gli stati della nostra vita, (come fra vita e vita), così, la forza dello Spirito, è tramite di alleanza fra la vita umana e quella del Principio della vita. Come per la parola, lo Spirito è l’emozione della vita che dice sé stessa. La percezione dello Spirito è della coscienza che la recepisce come forza. A maggior percezione, maggior forza, maggior coscienza e maggior conoscenza. La conoscenza sullo Spirito è data dal sentire le emozioni della vita: il Tutto dal principio.

A maggiorato sentire, maggiorata conoscenza per la maggiorata emozione. Perché primo Verbo (IO SONO) e prima Parola (VITA) il Principio è il Profeta di sé stesso. Come c’è un solo Principio di nuova parola, così il Principio è sommo Profeta dal principio. Indipendentemente dal loro stato naturale, culturale e spirituale, sono interpreti del Principio quanti hanno creduto di saperlo in proprio, o al caso, perché ausiliati e/o comunque influiti da inverificabili origini e/o stati. Non per questo non eletti, ma tanto quanto le loro parole non hanno edificato la Parola. A questo proposito, ad ogni credente il suo giudizio.

Se non altro perché non vi possono essere contenuti culturali e spirituali se prima non vi è il corpo contenitore (la Natura) ammettiamo che della vita maschile e della femminile, il loro primo stato sia il naturale. Come l’acqua prende forma dalla forma del contenitore, così, un contenuto culturale non può essere estraneo allo stato che lo contiene. Ne consegue che la Natura del dato stato è la via che forma la Cultura di quello stato. Dal principio naturale della vita, dunque, si originò il corrispondente principio culturale. Il principio del bene nella Natura è il sentire. Il principio del bene nella Cultura è il sapere.

Lo Spirito è il principio della forza della vita del bene naturale e culturale che si origina dal sentire nel sapere (se il prevalente principio di vita è diretto dalla forza della vita della Natura) o dal sapere nel sentire se il prevalente principio di vita è diretto dalla forza della vita della Cultura. Vita, è stato di infiniti stati. Si origina dalla corrispondenza fra tutti e in tutti i suoi stati. Ciò che è del sapere nel sentire (come nel sentire nel sapere) allora, diventa vita secondo Spirito. Se non vi fosse integrazione fra i tre stati, la vita avrebbe avuto un solo stato e, dunque, o eterno (ma di eterno vi è solo il Principio) o, per quanto lungo, necessariamente a termine.

Non necessariamente in ordine di tempo ma, necessariamente, secondo l’ordine dato dal convivere fra i suoi stati, la vita, quindi, si evolse (come si evolve) secondo Cultura della Natura: il Corpo. Secondo la Cultura della sua Natura: il pensiero. Secondo le finalità di vita, al perseguimento naturale e culturale seguì la Cultura della vita secondo la sua forza: lo Spirito. Mi dirà: come fa uno stato della vita ad avere il senso della vita della propria Natura se, essendo stato e, dunque, non ancora vita (secondo forza, Natura che corrisponde con la sua Cultura) non può avere quello della propria Cultura e, dunque, neanche quello del proprio Spirito? Lapalissiano, Padre! Perché qualsiasi stato naturale vi sia stato in origine, avendo lo Spirito che gli è forza ha la vita data dal Principio. Avendo la vita data dal Principio (il cui principio è vita) in ragione dello stato del suo stato, necessariamente, ne ha Cultura.

SPIRITI E SPIRITISMO

Il Principio interagisce nella Natura della vita originata (il corpo comunque effigiato) dando la sua forza: lo Spirito. Originati dallo Spirito della vita, vi è vita in spirito. Gli spiriti sono vita che è stata su questo piano della vita. In ragione della corrispondenza fra stati in tutti e fra tutti gli stati, ci sono spiriti prossimi o non prossimi al Principio. Perché corrispondenti con lo Spirito del Principio, ci sono spiriti elevati, tanto quanto gli sono prossimi. Perché contrari e/o non pienamente coscienti del Principio, ci sono spiriti bassi tanto quanto non gli sono prossimi. In ragione dello stato di coscienza sulla lontananza dal Principio (e/o dell’avversione) gli spiriti bassi hanno forza specularmente opposta agli elevati, così, allo spirito con forza di valore 4 + corrisponderà uno spirito con forza di valore 4 -.

Tanto è potente uno spirito di valore + e tanto quanto è inversamente potente uno spirito di valore – Lo Spirito, essendo forza che da la vita è il + con valore assoluto. Perché vita in stato d’assoluto, il Principio è Motore Immobile. Ogni altro stato della vita è mobile per infiniti stati di vita. La capacità di mobilità negli spiriti di qualsiasi stato corrisponde all’elevazione spirituale del loro spirito: così per la degradazione. Lo stato dell’elevazione spirituale di un dato spirito (come la degradazione) dice la condizione della forma della sua forza e della sua identità. Indipendentemente dallo stato del loro spirito, tutti gli immateriali interagiscono nella vita perché la vita non concepisce il vuoto (stato di non vita) e neanche a vuoto: stati senza senso di vita.

Non può concepire il vuoto perché è corrispondenza di stati in tutti e fra tutti gli stati. Non può concepire a vuoto perché ciò ammetterebbe fallacia presso il Principio. Vi sono stati di vuoto tanto quanto è mancante la corrispondenza di stati in una vita, come fra vita e vita, e/o fra una vita e quella del Principio. Come lo Spirito, gli spiriti elevati interloquiscono con la vita dandogli forza, ma non pongono condizioni alla loro forza per non condizionare la vita cui danno forza. Secondo stati d’infiniti stati, non coscienti e/o avversi al Principio che sia, gli spiriti bassi condizionano la vita tanto quanto interloquiscono con la loro Cultura nella nostra. In ragione dello stato del proprio stato, nessuno spirito è esente dall’interazione. Esente deve essere dal condizionamento.

Gli spiriti non interloquiscono con la loro cultura per mezzo della parola ma per corrispondenza di emozioni fra le loro e le nostre; è, necessariamente, un dialogo privato. Quando il destinatario della visione vede ma non sente, vuol dire che lo spirito che si rivela gli emoziona la mente. Quando sente ma non vede, vuol dire che lo spirito gli emoziona il corpo. Per occasionale corrispondenza di emozioni con il soggetto che sente e vede e quello che appare (come per volontà di chi appare) anche altri possono vedere la visione, ma non sentire un eventuale dialogo, appunto perché il “canale” che permette la “voce” è solamente l’emozione fra lo spirito che si rivela e quello del destinatario della visione.

Negli stati di meno vita (come nei casi di avversione) c’è il dolore naturale e spirituale per l’errore culturale che provoca il male. Oltre che nel nostro, non può esserci verifica spirituale dell’ultra mondo, appunto perché il male sa fingere il bene, molto bene tanto quanto è male. Ne consegue, che il male può essere maggiore dove maggiore la rivelazione. Se vera l’ipotesi, (e la credo vera) che spirito c’era sul Sinai con Mosè? Nella grotta con il Profeta? Nella rivelazione a Saulo e in tutti gli altri casi, cronologicamente prossimi o no?  C’erano quelli che hanno detto di essere, per mezzo del soggetto a cui appaiono, vuoi mentalmente, vuoi spiriticamente, vuoi per immagine.

A causa della capacità di finzione del male e/o dell’errore (volente o no, cosciente o no che sia), le affermazioni non sono attendibili. Come non sono di attendibile motivazione le dimostrazioni eventualmente rivelate. Non siamo in grado di verificare, infatti, se i motivi (come i soggetti) che hanno mosso le rivelazioni siano gli effettivamente detti e/o dei fatti intendere. Per questa equivocità, un credo che si basi anche sullo spiritismo è destinato ad essere deviante, tanto quanto fa passare l’animo dalla fede sul Principio, alla fede su dei principiati, santificando e/o beatificando delle figure, il cui attendibile Fare, non necessariamente corrisponde con il loro Essere, né per quanto riguarda la vita passata, né per quanto riguarda quella disincarnata.

Lo spirito che per le sue azioni riconosciamo santo e/o beato, di attendibile perché accertabile ha solo il servizio. Per questa mia sensibilità, un Servo del Principio, dovrebbe stare al primo posto non al terzo. Comunque motivato, l’aspetto prodigioso di qualsiasi manifestazione spiritica è dimostrazione di potenza, ma non necessariamente di verità. Il Principio concede solamente il suo Verbo e la sua Parola, cioè, la vita. Non altro perché Primo concetto, e Unico perché assoluto. Oltre a non compiere e/o autorizzare metamorfosi sulla vita, il Principio non può originare nessun mistero. Ha originato, invece, quello che non siamo totalmente in grado di capire.

Quello che diciamo mistero, allora, è ignoranza con diversa etichetta. A pro di chi, quindi, i misteri? Agli spiriti dello stato ulteriore? A quelli del nostro stato? Per l’insieme dei poteri che li usano? Il mistero è buio (simbolo dell’ignoranza) perché è assenza di luce (simbolo di conoscenza nella verità) e quindi, inevitabilmente, offuscatore. In quanto offuscatore, non è possibile che i misteri siano parte della volontà del Principio, come neanche di delegata volontà. Pensarlo, vuol dire non conoscere (o nei casi peggiori, ignorare) che nella corrispondenza fra Immagine e Somiglianza, nulla e nessuno può interferire se non interferendo fra Vita e vita; e se non lo fa lo Spirito del Principio. Della fede si può dire che è la capacità di accogliere la vita oltre conoscenza.

Nella religione cristiana, il Cefa è considerato il massimo esempio di fede in un’umanità. Massimo esempio di fede in una divinità fu quella del Cristo perché la collocò nel Principio di ogni principio, e lo chiamò Padre. In tutti gli altri casi, non di fede si tratta, bensì di una fiducia che se collocata a ragione non veduta, può diventare quell’improvvida disposizione d’animo che conosciamo come credulità. Al proposito, Teresa d’Avila, Dottore della Chiesa, ebbe a dire: è maledetto chi crede nell’uomo. Nei casi di spiritismo vi è possibile corrispondenza fra un’identità ulteriore e una presente, solo in ragione della vita nella corrispondente forza. Se, l’invocante come l’invocato non conoscono il loro reale stato di spirito (lo sa solo chi ha raggiunto la massima coscienza della sua conoscenza) chi chiama l’invocante e chi risponde?

Per momenti della reciproca forza, certamente può rispondere l’identità spiritica invocata ma, vita è infiniti stati di forza in continua corrispondenza, pertanto, in continua mutazione di vita. In ragione dello stato della sopraggiunta mutazione, lo spirito invocato si separa dall’invocante (lo deve) tanto quanto l’appellante ha mutato lo stato del suo spirito. Siccome la vita non ammette il vuoto, lo spirito che si è allontanato per la mutata corrispondenza di forza è sostituito da uno spirito corrispondente al nuovo stato di spirito dell’invocante. Anche in questo caso, nessuno può affermare di sapere effettivamente chi è l’identità spiritica che ha sostituito la prima, perché nessuno, sul suo vissuto, possiede piena coscienza. E’ esente da colpa lo spirito non cosciente dell’errore, ma non è esente dalla responsabilità per il dolo provocato.

Metempsicosi – a Luciano D. F.

La prima stesura è del 1995. L’ho quasi completamente rifatta nel 2020. Inorridito anche dalla seconda stesura l’ho rifatta nel Marzo 2021. Questo scritto è stato il primo documentato con un certo ordine. Temo non sempre riuscito come non sempre alle ciambelle riesce il buco. Lo considero la base di successivi frazionamenti; più che necessari quando mi sono reso conto (pressoché subito) che è assimilabile con fatica: ancora, anche per me. Aprile 2022 Lo dovrei riprendere ma sento di non aver bastante fiato. Ci proverò più avanti: forse. Febbraio 2023: guardo e passo.

Al principio, la vita ha ed è tre principianti stati di vita: Natura, Cultura, Spirito. Nel vivere il suo trinitario principio, i suoi stati sono stato di infiniti stati. Anche la Metempsicosi, quindi, sia nel caso di subita in uno spirito che nel caso di attuata da uno spirito, è stato di infiniti stati di Metempsicosi. Lo Spirito (potenza della vita e forza della vitalità) è il “corpo” che anima ciò che si anima.Ciò che non ha vita animata, come anima ha l’esistere. Lo Spirito universalmente animante è ciò che si anima per la sua forza (per la sua Natura) e per la sua potenza: per la Cultura della sua forza. Siccome vi è la forza dello Spirito (l’anima che anima la vita del Principio) e la forza degli spiriti (l’anima che anima la vita dei principiati dalla forza del Principio) allora, vi sono due stati di Metempsicosi: quella dello Spirito che si incarna nella vita che gli corrisponde (la vita del Principio) e quella degli spiriti che (dato lo Spirito iniziale) possono materializzare la forza e la potenza che sono stati in altra esistenza. La reincarnazione non avviene per volontà di reincarnazione ma per il “peso” di quanto ancora conserva dell’umanità che è stata. Forse semplificando: la reincarnazione è il fato (dolente o no, come quando, come o dove nessuno è in grado di prevederlo o a posteriori di affermarlo) di chi non ha svincolato l’anima dalla pur necessaria materia.

Senza la carne, infatti, saremmo come acqua senza formante contenitore. Con altro dire, senza il contenitore necessario a formare i contenuti. Data l’indispensabile corrispondenza di forza e di potenza fra contenitore e contenuti, osteggiare il contenitore è osteggiare i contenuti. Negarsi all’uno o all’atra parte, quindi, è tutto fuorché a proprio favore. Tanto quanto riusciamo svincolare l’anima dalla carne e tanto quanto siamo spiriti (forze e potenze smaterializzate) prossimi allo Spirito. Per opposto caso, distanti. Poiché non abbiamo modo di verificare lo stato di vicinanza e/o di lontananza di uno spirito dallo Spirito, (come neanche i suoi stati) ne consegue che non possiamo verificare, neanche quanto sia vera l’immagine del sé che, rivelandosi al nostro spirito si rivela nella nostra materia in ragione di corrispondente e/o di compensante affinità della forza e della potenza fra comunicanti.

Nella data forza e nella data coscienza, più siamo simili al Tutto (dal principio, la vita del Principio) e più siamo svincolati dal nostro tutto. Più siamo svincolati dal nostro tutto e meno siamo vincolati alla Reincarnazione. Con altro dire: più siamo svincolati dal nostro tutto e più siamo spiriti elevati e meno siamo svincolati e più siamo spiriti bassi. Spiriti bassi, non necessariamente significa diabolici. E’ basso, infatti, anche uno spirito incosciente circa la vita e le sue verità, ma mica per questo è spirito che si oppone alla vita: è solo uno spirito non in grado di capire perché non è in grado di conoscere o perché non sa o perché non può; se non vuole neanche, se non opera l’errore che non vuole risolvere. Guaio è, che la vita è corrispondenza di stati fra tutti ed in tutti gli stati e che, pertanto, non concepisce il vuoto. Anche uno spirito di mera falsità per mera ignoranza non può non influire ciò che è per ciò che sa volendo non sapere. Secondo infiniti stati di vita, uno spirito è nel bene tanto quanto corrisponde al Bene. Così per il vero e così per il giusto. Per il rifiuto del dolore che porta all’errore (come nel caso opposto) lo spirito brama una maggior vicinanza allo Spirito; la brama perché lo Spirito è il “luogo” della massima forza di ogni bene perché massima potenza di ogni giusta verità. Vive con sofferenza (estrema in ragione della lontananza dallo Spirito) lo spirito comunque impossibilitato ad elevarsi. Tanto più gli spiriti sono vicini allo stato dello Spirito e tanto più sono a sua somiglianza. Tanto più la loro forza e la loro potenza somiglia alla forza e alla potenza dello Spirito e tanto più sono presso il Principio.

Lo stato della Metempsicosi, dunque, corrisponde allo stato della somiglianza di spirito con lo Spirito. La vita che è corrispondenza di stati in tutti e fra tutti gli stati non può concepire il vuoto che è del nulla. Non lo può perché ogni stato di interruzione del suo principio sarebbe uno stato di inesistenza, ed in ciò, un’estrema contraddizione con il suo principio: la vita sino dal Principio. Gli spiriti che tanto più conservano il proprio stato di vita, tanto più influiscono della propria personalità, la vita in cui si incarnano. Pertanto, nel bene come nel male, sono elevati gli spiriti che influiscono con la loro forza (la Natura della loro Cultura) e sono bassi gli spiriti che influiscono con la loro vita: secondo spirito, Cultura della loro Natura. Nella vita dello Spirito, ogni differenza dallo Spirito è differenza di vita fra il nostro stato ed il Suo. Ogni differenza è una separazione fra Vita e vita. Ogni divario di vita fra i due stati, allora, non può non essere che dolore da separazione dal Principio: la vita di origine. Poiché la differenza è dolore e, poiché il dolore essendo separazione dalla Vita non è vita tanto quanto è dolore, ecco che si è lontani dal Principio della vita tanto quanto l’ingiustizia nel nostro spirito ci ha reso dolenti. Poiché il dolore dato da ciò che non è stato giusto al nostro spirito si è originato dal male dato dalle erronee corrispondenze fra i nostri stati, ecco che, allo scopo di annullare ciò che è male per la Natura, falso per la Cultura e conseguentemente ingiusto allo Spirito della vita personale quanto verso quello della vita Universale, non si può (a causa dei pesi) non tornare a questo principio di vita, per ripetere a nuovo lo svincolamento dai pesi.

Lo svincolamento dai pesi è necessario perché, presso lo Spirito del Principio non può esistere il dolore: male naturale e spirituale da errore culturale. Non può esistere il dolore perchè presso il Principio della vita (assoluta corrispondenza di stati nel bene dato il giusto per il vero) esclude dalla sua vita ogni altro principio Ciò che impedisce l’invasione di spirito su spirito è la coscienza di sé. Tanto più è lucida, e tanto più è intaccabile. Per ottenere quella necessità la vita potrebbe presentarci un calice e chiederci di berlo sino alla feccia. Tanto più sarà amara e tanto più sarà necessario berla. Vedo molte alternative, è vero. Non vedo, però, vie di fuga.

DISCORSI

Spirito, Padre, Tentazioni, Serpente.

Nella ricerca del Genesi della vita, se per un aspetto il Testo rivela la capacità di elevazione culturale degli stesori, dall’altro, mi pare segnali che il Serpente non si limitò a tentare la sola Eva. Infatti, a mio avviso, caddero nella tentazione (pericolosa tanto più l’imposero come verità rivelata dal Principio) di dire una realtà che, per ignoranza sul Principio della vita (la vita sino dal Principio) certamente non potevano conoscere, tuttalpiù, immaginare, oppure, se dire per rivelazione, perché ispirati. Va beh! Dal momento che il male sa fingere il bene, molto bene tanto quanto è male e dal momento che in alcun modo possiamo verificare lo stato delle “voci” ispiratrici (ripeto la domanda) da chi dette e/o rivelate, se in mancanza di verifica, tutto il nostro credere può anche essere stato basato sulla strumentalizzazione (in buonafede e/o in malafede che sia) di un bisogno di credere in altri, conseguente alla mancanza della capacità di credere nel Padre tramite noi?

Una elevazione spirituale può inebriare la ragione tanto da mandarla oltre il suo contesto storico personale e sociale. La può mandare “fuori” al punto da farla entrare in contatto con altri piani di vita; non intendo la vita spirituale (che avendo vita ne siamo in contatto da sempre) ma quella spiritica. Al proposito, sappiamo l’opinione della Psichiatria, ma, se è vero che sull’argomento sa cosa dice, quanto può dire di sapere di cosa parla? Una mente ispirata oltre la sua realtà dalla forza della sua immaginazione (capacità di vedere culturalmente ciò che in cui si crede e che è elevata tanto quanto si ha fede in ciò che si crede) quanto sa distinguere se discerne secondo sé, o se lo può tramite altra vita?

Nel caso sappia distinguere che non discerne secondo se e anche ammesso che sappia quale sia lo stato di vita che influisce sul suo discernimento, può verificarne (non dico l’identità) ma anche la sola attendibilità spirituale? Direi di no. Infatti, se può essere inimmaginabile la capacità di verità di uno spirito nel bene, così è inimmaginabile la capacità di menzogna di uno spirito nel male. Così, data la facoltà e la capacità invasiva degli spiriti soprannaturali nella vita naturale (data la mia conoscenza dello spiritismo lo sostengo a ragion veduta, o meglio, sentita) non posso non dubitare (e, parecchio) che lo Spirito ispiratore sia stato quello del Padre. Il Padre influisce la vita che ha originato attraverso la Sua forza: il suo Spirito.

Se l’ispirasse secondo la sua Cultura, assoggettando il nostro giudizio al suo, renderebbe serva la nostra. Rendendola serva, però, assoggetterebbe anche la nostra coscienza, ma, una coscienza è piena, solamente se è libera di conoscere, al caso, anche ciò che non gli corrisponde per poter sapere ciò che gli corrisponde! Ergo, neanche il Padre può far dipendere da se’, la vita che pure ha originato. Ciò significa che non possiamo credere a nessuno? No, ciò significa che dobbiamo credere nel solo Principio della vita: in ragione della forza dello Spirito, corrispondenza di stati nella data vita e fra la nostra e la Sua. Ulteriormente, questo significa che non puoi credere neanche a me? Ammesso e non so quanto concesso che ti sia mai girato per la capa, mi pare più che ovvio, per quanto riguarda la fede.

Invece, per quanto riguarda la ragione, “credimi” solo dopo attenta valutazione! Il principio che ha permesso la vita è quello della comunione fra stati. Allora, dove vi è la voce di uno Spirito che interloquisce fra vita e vita non può essere quella del Principio che dice circa i suoi principi, in quanto, già all’origine ne ha detto i massimi: bene nella Natura, vero nella Cultura per il giusto dello Spirito. Quei principi sono massimi al punto da originare la vita e universali al punto da indicare ad ogni via della vita (ad ogni Natura) la sua verità , cioè, la sua Cultura. Per corrispondenza di principi fra la vita originante e quella originata, anche un qualsiasi Spirito soprannaturale non puo’ in alcun modo interferire nella vita altra se non ledendo la corrispondenza degli stati della vita personale (o sociale tramite la Persona) su cui interferisce. Tanta o poca che sia la sua forza, uno spirito interferente, (tanta o poca che sia la sua vita) comunque erra perché devia la corrispondenza di vita e di forza fra spirito e Spirito.

LE AFFERMAZIONI DEL VERBO

Non ho mai letto e né sentito predicare una ragionevole spiegazione su questo mistico scioglilingua: così, ho avvicinato il dito alla questione. Vista da vicino, l’affermazione fa capire, che l’autore, dopo essersi riconosciuto come vita, ha elevato il suo sé (verbo e logos nel dirsi io sono e parola nel dirsi vita) al sé della Vita: Verbo e Logos nel dirsi Io Sono e Parola nel dirsi vita. Quello che non capisco, è perché abbia complicato la faccenda (e c’è l’abbia complicata) quando, molto più semplicemente, avrebbe potuto dire: in principio era la Vita, la Vita era presso il Principio, e la vita era il Principio. Se il principio della vita è la vita del Principio ne consegue che la vita è il ritratto del Principio, e che ogni altro stato della vita (passata, presente, e futura) è copia. Attendibile? Tanto quanto somigliante al Principio. A priori, chi può dire di esserlo? Nessuno.

Nell’Immagine come nella Somiglianza, durante il mio viaggio a ritroso ho riconosciuto tre stati di principio: Natura come corpo della vita comunque formata; Cultura, come corpo della vita comunque pensata; Spirito, come forza della vita comunque agita. Nella nostra vita, i principi della Vita, (il Bene per la Natura, il Vero per la Cultura, il Giusto per lo Spirito) sono necessariamente imperfetti. Non può esserci che un solo Perfetto, infatti. In ragione del nostro stato di imperfezione, si genera il corrispondente stato di dolore. Il dolore è male naturale e spirituale da errore culturale. Ciò significa che siamo destinati a patire il dolore? No. Ciò significa che siamo destinati a curare il dolore che porta all’errore che crocifigge la vita.

Comunque motivato, e indipendentemente dallo stato in cui si origina, il dolore è provocato da un arresto della corrispondenza fra gli stati della vita. Il dolore (stato di meno vita) è principio di incontrovertibile verità perché la Natura sente il male anche quanto la Cultura non sa su quello sente la Natura. Poiché siamo trinità tendente all’unità (solo il Principio è Uno) ciò che è della Natura non può non influire la sua Cultura, così, è principio di incontrovertibile verità anche per la mente. Se influisce sul corpo e sulla mente, non può non influire anche sulla forza della vita (lo Spirito) deprimendola per difetto, oppure esaltandola per eccesso, così, il dolore nella Natura della vita, non può non diventare principio di incontrovertibile verità anche per lo Spirito.

Poiché la Natura è il contenitore che ha formato i suoi contenuti, la Natura è voce primaria di discernimento, ed è, quindi, primaria maestra. Nel negare le emozioni naturali di quella maestra, che di riflesso sono culturali e spirituali, si nega voce al suo verbo e alla sua parola, e si costringe la vitalità negata ad essere perpetuamente ipocrita. Per quel non predestinato destino, quando mai riusciremo a diventare delle Somiglianze prossime all’Immagine, se ci viene proibita la possibilità di essere veri a noi stessi e di conseguenza, sia verso la vita che verso la Vita?

Non sono mai stato così impreparato

Caro Francesco: non sono mai stato così impreparato da non rendermi conto che il mio pensiero sul Principio e sui principi della vita, è un tonnellante mattone. Per anni mi sono chiesto come alleggerirlo. Pensa che ti ripensa, in soccorso m’è venuto un ricordo che da bambino mi preoccupava non poco: quello dell’occhio di Dio all’interno di un triangolo equilatero. La mia versione è questa.

L’immagine m’ha convinto sino a che ho ragionato secondo cultura cristiana, o meglio, cattolica. Non più (nella cattolica) mano a mano ragionavo per la cristiana secondo me. Secondo me, non vedevo corrispondente contenitore dei principi della vita su questo piano dell’esistenza, così, elevando il pensiero al principio (ne avevo assoluto bisogno) ho “reso” contenitori del Principio, il loro stato di principi sino dal al principio:

Per Natura intendendo il Corpo della vita comunque formato. Per Cultura, il pensiero sulla vita comunque concepito; Per Spirito, l’agita forza della vita comunque agita. Del famoso triangolo (lo penso equilatero) immagina la Natura al vertice, la Cultura in basso a sinistra, e lo Spirito a destra. Siccome nell’Uno la collocazione dei tre stati si con_fonde al centro, la posizione di destra e di sinistra degli stati alla base può essere invertita.

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Di posto non modificabile, però, la Natura: al vertice perché non vi può essere contenuto di alcun genere se prima non vi è il debito contenitore. Comunque stiano le cose, nell’assoluta unità, gli stati, oltre che inscindibili diventano indistinguibili. Del Principio, (tu lo chiami diversamente mentre io non lo chiamo invano come neanche in modo vano) è possibile immaginarne la trinitario unitaria Figura senza ricorrere a deliranti teologie? Si, mi sono detto, purché ci si limiti ad immaginarne i soli principi che vedo possibili.

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Questi: la Natura del Principio come Corpo della vita comunque formato. Lo Spirito come assoluta forza della vita. La Vita come Cultura della Trinità per l’Unità. Come vedi, in ragione dello stato del nostro stato, anche la vita di questo stato di vita si basa su gli stessi principi del Principio: stessi come principi, non, ovviamente, come stato dei principi. Al principio e nel Principio, inscindibili, assoluti, sovrani, e nei nostri, a quelli somiglianti.

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Un Principio assoluto non può generare nulla che sia altro da sé; e siccome il suo assoluto Sé è la vita, può essergli Figlio solo quanto ha direttamente generato: la vita. E’ certamente vero: tanto quanto siamo fratelli di quel Figlio (la vita) perché ne adottiamo i principi, e tanto quanto siamo adottati dalla vita: sino dal principio, Padre.

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Tanto quanto siamo coscienti dell’esistenza del Padre (la Vita) perché siamo coscienti dell’esistenza del figlio (la vita) e tanto quanto siamo eletti figli del figlio del Padre: è il caso del massimo eletto che può esser detto del Cristo, come dei minimi che più o meno siamo tutti. Con buona pace sulle millenarie traveggole su Dio, ti saluto e ti chiedo di continuare a non volermene.

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AL PRINCIPIO

niente mogli e niente madri.

Dio è Spirito: la forza della vita che ha originato la vita. Con altre parole, è il Principio che ha originato il suo principio: la vita.

Vita, è relazione di corrispondenza fra volontà determinante (la maschile) e volontà accogliente: la femminile. Dio è la massima unità della trinità dei suoi stati, quindi, è l’Uno.

In quanto Uno, è inscindibile, così, anche il carattere determinante ed accogliente dello Spirito (forza della vitalità dalla sua Natura e vita della sua Cultura) è Uno. Ne deriva che pur avendo spirito maschile e femminile non è maschio e neanche femmina. Dio è ciò che origina, e poiché origina vita, Dio è vita sino dalla sua origine e da ciò che la sua origine ha originato. Fra la vita divina e la vita umana, vi sono stati di infiniti stati di spirito. Ogni stato può essere un’identità, come l’emozione (la parola) di una data identità. Succede che vi siano personalità, in grado di relazionare con la vita ulteriore. Sono detti medium. Cosa procura questa capacità? La procura una maggiorata coscienza della vita.

Il modo in cui avviene è legato alla data personalità, alle sue vicissitudini, alla sua storia, e alla cultura del contesto in cui vive, ecc, ecc. La psichiatria sostiene che la possibilità medianica derivi dalla parte inconscia della mente. La corrispondenza di uno spirito con il nostro avviene per affinità di spirito. Esemplificando: se il mio spirito ha forza 10, corrisponderà con uno spirito di forza simile. Poiché non saremo mai pienamente coscienti del nostro stati di spirito, così, non saremo mai pienamente sicuri di aver a che fare con lo stesso spirito. Nessuno di noi, può dirsi Uno. Quindi, toglierci dalla testa di poter corrispondere con lo spirito di Dio. Si può dire, però, che vi sono personalità più unitarie di altre. Ebbene, queste personalità corrisponderanno con spiriti più unitari di altri. Chi siano questi spiriti, ogni personalità medianica lo potrà credere ma non sapere.

Al più, potrà dir di sapere sulla data identità, tanto quanto sarà in grado di sentire che gli stati di spirito di quella forza sono corrispondenti ai suoi, ma c’è un ma: il male sa fingere il bene, molto bene tanto quanto è male. Il che significa che il male può essere maggiore, dove maggiore la rivelazione. E’ ben vero che è un gioco che dura poco, la seduzione del male, (il male sa far le pentole ma non i coperchi, infatti ) però può bastare per incantare il credulo. Una volta subito l’incanto della manifestazione spiritica, (diabolica o no che sia) liberarsi dalla malia spiritica è necessario mutare lo stato del nostro spirito, dirigendoci verso altra condizione di vita. In genere, le esperienze spiritiche succedono ai dolenti. E’ dolente, chi è scisso dal suo bene. Chi è scisso dal suo bene non è nel giusto, e, quindi, neanche può essere nel vero di sé che è dato dalla pienezza dell’identità.

Il male, è dolore naturale e spirituale da errore culturale. Ogni medium nel male da dolore per errore, quindi, corrisponde con spiriti nello stesso stato di vita. Sia su questo piano della vita che sull’ulteriore, vita, è stato di infiniti stati di vita, quindi, anche il male dello spirito che corrisponde con il medium è soggetto alla stessa misura di forza e di spirito. L’infinita misura di male da dolore per errore, pertanto, rende impossibile dire se uno spirito è nel bene o nel male, perché può esserlo in un dato momento, e non esserlo nel successivo. Possiamo parlare di spiriti del male, allora, solamente se in piena coscienza perseguono il male, come possiamo dire omicida chi persegue in piena coscienza quella distruttiva volontà. Detto questo, vediamo il caso di Saulo di Tarso e del Profeta. Ad ambedue è apparso uno spirito.

In che condizione di spirito erano il Saulo ed il Profeta? Sapendo la loro condizione di spirito, sappiamo (?) l’identità dello spirito che si è manifestato loro. Tenendo ben presente, però, che se fossero stati nella pienezza di sé, non gli sarebbe apparso nessun spirito. Diversamente dal Saulo, (i suoi dissidi interiori e personali sono storicamente noti) il Profeta, almeno a quello che mi risulta, non ebbe analoghi dissidi con sé stesso, o, se li ebbe, (ma qui vado a naso) furono provocati da più intime ricerche personali, e/o da una notevole capacità di compassione, ma temo di non conoscere la vita del Profeta quanto basta. Mi limito quindi, a queste due sole supposizioni. Dato il genere di messaggero, però, arguisco che i suoi dissidi riguardassero, oltre che la sua personale identità, anche quella del suo popolo: diviso in numerose e discordi tribù, e religiosamente scisso per politeistica adorazione.

Immagino il Profeta, dolere di questa situazione. Immagino il Profeta mentre lo vedo desiderare una forza unificatrice. Lo immagino, mentre, forse, desiderava essere quella forza unificatrice; e quella gli è apparsa sotto forma di spirito. Il resto lo sappiamo. Seguito il messo unificatore, poteva il Profeta accettare il culto delle mogli di Allah? A mio avviso no. Vuoi perché, in quanto politeista, quel culto era divisore, vuoi perché cercava il Grande, vuoi perché il Grande non può non essere Unico, e quindi, non generato e tanto meno ammogliato.

      • Non ho mai nominato invano come in questa lettera. Guaio è che ho dovuto nominarlo come il mondo lo nomina: invano.

PARADISO E INFERNO

Come luogo della beatitudine ogni religione ha il suo Paradiso. Il Paradiso è il luogo del Padre: principio della vita perché principio del bene detto da ciò che è giusto al vero. Antitetico al Principio del bene vi è il male: dolore naturale e spirituale da errore culturale. Secondo stati di infiniti stati di dolore, il male è separazione dal paradiso naturale (luogo del Principio del bene) se colpisce il corpo; dal paradiso culturale (luogo del Principio del vero) se il dolore colpisce la verità; dal paradiso spirituale (luogo del Principio della forza della vita) se il dolore colpisce lo Spirito. Tanto quanto è perseguito, il dolore è cacciata dal Paradiso del Padre quando diventa principio di Spirito ( di forza ) della vita che si oppone al suo Principio: la vita.

Dato ad ognuno il proprio stato e secondo stati di infiniti stati di vita, tanto quanto una vita si oppone al bene proprio, all’altrui e a quello del Principio e tanto quanto essa è inferno: stato del male avverso la vita e del Male avverso quella del Principio. Il Paradiso è il luogo del Padre: principio della vita perché principio del bene detto da ciò che è giusto al vero. Antitetico al Principio del bene vi è il male: dolore naturale e spirituale da errore culturale. Secondo stati di infiniti stati di dolore, il male è separazione dal paradiso naturale (luogo del Principio del bene) se colpisce il corpo; dal paradiso culturale (luogo del Principio del vero) se il dolore colpisce la verità; dal paradiso spirituale (luogo del Principio della forza della vita) se il dolore colpisce lo spirito.

Tanto quanto è perseguito, il dolore è cacciata dal Paradiso del Padre quando diventa principio di Spirito ( di forza ) della vita che si oppone al suo Principio: la vita. Dato ad ognuno il proprio stato e secondo stati di infiniti stati di vita, tanto quanto una vita si oppone al bene proprio, all’altrui e a quello del Principio e tanto quanto essa è inferno: stato del male avverso la vita e del Male avverso quella del Principio.

L’ANNUNCIO DEL BENE

Dal brano che mi hai segnalato, l’annuncio del bene secondo Giovanni, (1a parte) estraggo cinque punti. Porta pazienza se mi rifarò a quello che conosco, quindi, condividi queste tesi per amor di ragione. Se ne trovi, ovviamente. Ti sembrerò il solito parroco, purtroppo. Riporta pazienza.

“Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Macigno.”

Macigno, quindi, non Pietra. Non lo direi di analogo significato. Macigno, potrebbe indicare una realtà, più grande e/o più forte, e/o più inattaccabile di pietra: vuoi a livello naturale, vuoi al culturale, vuoi allo spirituale. Non di meno, anche pesante vissuto. Dal momento che non sappiamo cosa intendesse Cristo per Macigno tutte le interpretazioni sono solo delle ipotesi. Vero è che Macigno, in quanto massa, può indicare sia una forte convinzione, quanto una ottusa.

“Che ho a fare con te, o donna?”

Sembra l’esclamazione di un figlio scocciato, quando non ostile alla madre. Ma, che è madre? Madre, è portatrice di vita. Cristo, però, pensava al Padre, come portatore di vita, quindi, l’esclamazione può indicare che non è dalla donna (principio femminile della vita) che il Cristo accettava i principi della sua. Nonostante quello che si dice sui valori della Donna, la cultura maschile la pensa ancora allo stesso modo. Dalla presunzione si salvano certe culture ma tendiamo a bocciarle perché primitive.

“La madre dice ai servi…”

Qui c’è una madre, cosciente delle esigenze della terra oltre di quelle del cielo. e che in attesa di quelle del cielo bisogna anche occuparsi di quelle della terra. Lo sta facendo ancora. Sarebbe meglio di no. Confido sul calo dei servi.

“In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio”

Chiamalo naturale, o chiamalo spirituale, ma tutti rinasciamo dall’alto, se per alto intendiamo un principio (e/o un inizio) fecondante. Rinascere dall’alto, quindi, è un tornare da capo. Quale il capo di Cristo? Il Padre. Rinascere al Padre, direi, necessariamente, implica il ritorno ad uno stato di fanciullezza. Mica somatica, ovviamente. Direi, invece, allo stato della fanciullezza in cui credevamo il padre, più grande di tutto e di tutti, tanto da meritare la totalizzante fiducia che è della fede. Per ritrovare il Padre più grande di tutto e di tutti (non quello di una vita ma quello della vita) al Padre si può ritornare se si rinasce con quella fede. L’acqua, oltre che simbolo della purificazione, è anche simbolo della vita. Per rinascere al Padre, quindi, è necessario purificare la vita.

La vita, si purifica, non tanto perché ci si lava i piedi (presso l’islam, purificazione del cammino del fedele) ma perché ci laviamo dai pensieri, che se spuri, ci sporcano la vita, e quindi, ci appesantiscono la rinascita. Spurio, (per mio sentire e quindi sapere) è tutto quello che non permette di rinascere secondo Spirito, dice Cristo, e da qualche anno dico io pur sapendo di predicare nel deserto. Lo Spirito è la forza della vita. Rinascere secondo Spirito, pertanto, è prendere atto di quella Forza e, conseguentemente, agirla nel nostro vivere. Il Cristo, la dice Paracleta, cioè, mediatrice. E’ così, ma i vicari l’hanno capito solo a parole.

DERIVATO DAL PRINCIPIO

Derivato dal Principio (come, dove, quanto e quando è teofantasia che abbevera il Dissidio e non di meno l’Errore) il nostro principio (non Primo, non Sommo, non Sovrano e quindi non Assoluto) è lo stato trinitario che in virtù

della vitalità naturale e della vita culturale

mossa del bene                      mosso dal piacere

tende all’unitario per quanto

è giusto

al senso                                    di un vero

emozionalmente indicato dalla forza della vita

indicata dallo spirito del suo stato.

DISCORSI SULLA MEDIANITà

Il male può fingere il bene molto bene tanto quanto è male. Il che vuol dire che il male può essere maggiore dove maggiore la rivelazione. Se vera l’ipotesi (e la credo vera) chi c’era sul Sinai con Mosè? Nella grotta con il Profeta? Nella rivelazione a Saulo e in tutti gli altri casi, prossimi o no? C’erano quelli che hanno detto di essere, o ci sono quelli che hanno potuto dichiararlo perché di impossibile accertamento? La fiducia e/o la fede (che pure è necessario tramite di medianità) non può essere considerata una prova di verità. Al più, la prova di una fede indistinguibile dalla credulità. Per l’impossibilità di verifica, un credo che si basi anche sullo spiritismo è destinato ad essere deviante, tanto quanto (volente o nolente) fa passare l’animo dalla fede sul Principio alla fede e/o alla credulità su della vita principiata.

Per altro dire: dai valori del Principio (il Bene, il Vero, il Giusto) ai valori principiati da della vita principiata. Comunque motivato e/o spiegato, e/o giustificato, l’aspetto prodigioso di qualsiasi manifestazione spiritica è dimostrazione di potenza, ma non necessariamente di verità. Lo spirito umano o sovrumano che non è cosciente dell’errore (propagazione del falso) è esente dalla colpa ma non esente dalla responsabilità per il dolo provocato alla verità.

ESORCISTI E LOGORAMENTI

Le possessioni avvengono quando un’identità è scissa dal suo bene. Non sempre si riesce a capire se l’identità posseduta lo è da un altra identità, o da un’alta parte mentale della stessa identità. Con altre parole, non è facile distinguere lo schizofrenico dal posseduto; ed è per questo che ci vogliono due ausiliari: il sacerdote contro il male spirituale, e lo psicologo contro l’errore culturale che porta al dolore esistenziale. Le cure dovrebbero andare pari passo. Non vedrei male anche l’intervento del medico clinico. Ciò che ristabilisce il possesso della propria identità, infatti, è anche l’accertamento (e l’eventuale cura) delle condizioni fisiche. Non per ultimo, ci vorrebbe anche l’Assistente sociale.

La possessione può essere favorita, infatti, anche da squilibri affettivi interni alla famiglia, e/o da un erroneo rapporto con il conteso sociale in cui agisce (o manca in agire) il soggetto che si ritrova posseduto. L’esorcista si logora per dissidio da confronto culturale (e morale ) sia nel caso di un’identità che ne possiede un’altra, sia nel caso dello schizofrenico. Esemplificando, analoga stanchezza mentale (e spirituale) la subisce anche l’insegnante che per anni deve confrontarsi con l’identità ignorante degli alunni. L’insegnante che ha allontanato la personalità negativa (l’ignoranza) nello studente (il posseduto dall’ignoranza) a fine corso si ritrova “svuotato” di sé, mentre lo studente, “riempito” di un sé, raggiunto per il travaso dell’identità culturale dell’insegnante nella sua, così come succede fra l’esorcista e posseduto.

Si, esorcizzare è liberare lo spirito anche attraverso l’insegnamento, purché la liberazione della mente dell’alunno sia nelle intenzioni dell’insegnante, ovviamente.

TRANSCULTURA

ad ALESSANDRO B.

Cultura, (in quello che si è di ciò che si sa per quanto si sente) è il prodotto esistenziale del viaggio di transizione dagli infiniti stati della conoscenza che è (la presente) a quella che segue: la futura. Se per fare una vita ci vuole una vita, direi che la Cultura è un viaggio che non finisce mai. Cultura, pertanto, in effetti è Transcultura. Attraverso i passaggi transculturali fra il dato acquisito e quello che segue, si raggiunge la conoscenza della soggettiva identità. Direi, allora, che per questo, la Transcultura è il binario della Cultura. In ragione degli stati della vita (Natura, Cultura e Spirito) la conoscenza Transculturale (anche sessuale) è stato che ha tre stati di viaggio : il naturale, il culturale e lo spirituale. In ragione della forza della vita (lo Spirito) che si origina dalla corrispondenza fra gli stati, i tre stati di viaggio convergono in un unico centro: l’Identità. L’Identità personale è data dalla rapporto di corrispondenza fra i suoi stati: secondo la forza del suo Spirito, Natura che corrisponde con la sua Cultura.

L’Identità sociale è data dalla corrispondenza fra l’Io soggettivo e quello collettivo di prevalenza. Fissati i principi, non per questo i principi possono fissare la vita: corrispondenza di infiniti stati naturali, culturali e spirituali storici non di meno che personali e sociali. La corrispondenza di vita che Persona ha con se stessa e con l’ambito umano, sociale e storico in cui vive (e che la forma quanto a sua volta forma) la porta a ricevere vita naturale (emozioni nel corpo), culturale, (emozioni nella mente), e spirituale (emozioni di forza), anche oltre ciò che è del suo segno genitale. Per gli infiniti influssi che la compongono, la Personalità umana, dunque, è il mosaico dei dati emozionali che riceve e, comunicando, disegna. Nei casi della comunione di vita conseguente alle corrispondenze fra valenze emozionali reciproche ma di segno naturale opposto vi è il gruppo sessuale detto “Etero”.

Nel Gruppo Etero vi sono Figure che corrispondono con la Natura, la Cultura e lo Spirito (e, dunque, con la vita) con la parte prescelta per il proprio completamento. Ve ne sono altre che vi corrispondono con la Natura ma variamente con la Cultura e, dunque, nella reciproca vita separate tanto quanto variamente corrispondenti. Altre ancora che vi corrispondono con la Cultura ma variamente con la Natura e, dunque, nella reciproca vita separate tanto quanto variamente corrispondenti. L’area di separazione per non corrispondenza di vita, può essere una zona di vissuti (variamente espressi, contenuti o repressi) non ortodossi alla Regola che, o la Persona ha scelto di praticare o che il Sociale l’ha indotto a praticare.

Nel Gruppo “etero”, non sono ortodosse pulsioni sessuali: verso età e/o stati di vita non equamente corrispondenti a quella di chi la prova. Fra le prevalenti: la pulsione pedofila, la gerontofilia, la necrofila, la feticista; verso variegate e/o complesse fantasie e/o gusti in amare. Nei casi delle personalità variamente e/o diversamente corrispondenti al segno opposto quanto al simile, vi sono i casi di omosessualità: prevalente comunione di vita con il simile al proprio segno genitale; bisessualità: comunione di vita con diversi del proprio segno genitale ma anche con simili; transessualità: estremo ricongiungimento psichico e financo somatico con il segno di ideale corrispondenza culturale e sessuale; travestimento: sul proprio sesso, sovrapposizione dell’abito (anche culturale ma non necessariamente di quello sessuale) dell’altro sesso.

Come l’Eterosessualità, l’Omosessualità è uno stato sessuale che ha moltissimi stati di vita. Fra i prevalenti: vi è quella che corrisponde sia con la Natura che con la Cultura di segno simile al proprio; vi è quella che corrisponde con la Natura simile (maschile e/o femminile che sia) ma non con la sua Cultura. Con altre parole, corrisponde con la figura maschile o femminile ma non con il pensare al maschile o al femminile simile al proprio segno. Ancora come l’Eterosessualità, anche l’Omosessualità ha comportamenti non ortodossi con la sua Regola, infatti, fra i prevalenti vi sono i casi di pedofilia, gerontofilia, feticismo, gusti e complesse fantasie in amare. Non so a lei ma nell’amare omosessuale non mi risultano i casi di necrofilia se non come un amare (o in se o in altri da se) delle “morte” vitalità culturali e spirituali.

Questo genere di necrofilia, però, è presente in tutti i Gruppi sessuali tanto fa parte dei dolori e/o del male nel vivere e/o dal viversi male. Indipendentemente dalla personalità sessuale di prevalente identità, coloro che corrispondono con la Cultura simile ma non con la simile Natura, formano un Gruppo che dico Omoculturale. Lo cito in ultimo ma non perché sia ultimo. In effetti è primo. A mio avviso, infatti, questo Gruppo è come se fosse l’insieme dei vasi capillari che, pur non defluendo in vene di altre valenze sessuali oltre la propria e ne in arterie di altre identità sessuali altre la propria, tuttavia, permettono la transizione transculturale, oltreché della vita propria anche di quella altra. Ammesso il concetto di Transcultura e, dunque, dell’indefinibilità della vita (anche sessuale) se non come il prevalente stato di infiniti stati di vita, ciò, ovviamente, implica che vi sino stati non prevalentemente conformati e, come tali, crescenti.

I Crescenti, individualità che non hanno ancora definito il corrispondente carattere sessuale culturale e, dunque, neanche di vita, sono delle personalità sessuali che dico “esposte”. Gli ” esposti ” (che pur sentendo vari ruoli non hanno sufficienti conferme culturali e, dunque, identità) sono come degli adottandi in attesa della famiglia (la Norma sessuale) in cui collocarsi. Non hanno sufficiente identità perché non sanno trovare la propria e ne la corrispondente? Non la trovano perché la loro è ancora transculturale, cioè, di passaggio? Non la trovano perché la Transcultura ( anche sessuale ) e la loro specifica condizione? Non la trovano perché i concetti ” normali ” sulla sessualità gli impediscono di trovarla se non truffando vita, cioè, mentendo a se stessi e alla controparte: persona, famiglia o società che sia? Non la trovano perché non se ne comprende la Cultura e/o pur non comprendendola la si riconosce se non come “devianza”?

Ebbene, è una zona sessuale che può anche essere impercettibile (questa che vivono le identità esposte) che non può non preoccupare, invece, l’ignoranza nelle quali le lasciamo è la terra che copre, oltre che la loro vita, anche gli errori dei medici: i deputati a far conoscere. Chiarire la zona di impercettibilità sessuale che dico, implica l’accettazione (presa in carico che se non necessariamente significa condivisione non per questo significa esclusione) di ogni sessualità. La sessualità, è moto di vita. Come la vita, ha tre stati: il naturale, il culturale e lo spirituale. Dal momento che la vita si attua in ragione dello stato della sua forza, nel dire sulla vita (anche sessuale) non si può non prendere atto che lo Spirito (essendo la forza della vita) è origine di sessualità quanto e non di meno della Natura e/o della Cultura. Le corrispondenze fra Natura, Cultura e Spirito sono stati di infiniti stati di vita.

Per l’influsso di vita sia fra i segni naturali, culturali e spirituali simili al proprio segno genitale o diversi, come da quelli variamente corrispondenti o non, ne deriva che tutti stati della vita sessuale contribuiscono alla ricerca e alla conformazione della personalità che dal periodo della transizione transculturale sfocerà in quella di prevalente scelta. Ciò significa che la vita sessuale è sessualmente promiscua? No. Essendo la vita (anche sessuale) corrispondenza di stati, direi che (in ragione dello stato delle corrispondenze fra i suoi stati) ad ordinare se stessa, ed in ciò a costituire la Norma, è la stessa sua vita. E’ la stessa sua vita, perché dove non vi è corrispondenza fra gli stati, la vita ha dolore: secondo infiniti stati di questo stato, male naturale e spirituale da errore culturale.

Dall’affermazione ne consegue che, in ogni stato di vita il bene naturale e spirituale è la Norma (il giusto) che permette di raggiungere quella culturale del vero. Evidentemente esclusa da sotto i cavoli, la radice della Transcultura non può non essere che quella dei Generanti: famiglia, società e storia. Dato il rapporto di dipendenza dei Crescenti, quando i Generanti sono figure in molti modi e stati predominanti (nel senso che dominano ciò che influiscono secondo schemi di non corrispondenza) non possono non influire del loro carattere (soverchiandola) la personalità di chi fanno crescere. Fra le prevaricate per l’eccesso di influsso dato dal soverchiamento di un carattere su l’altro, oltreché quelle che l’hanno subito e/o elaborato nelle ” devianze ” e/o nelle ignoranze, vi sono quelle che l’hanno rigettato.

Se il rigetto del prevaricante influsso ha impedito l’acquisizione della forza del carattere dell’influente (ed in ciò ha “tutelato” il proprio) non per questo quella “salvezza” è stata indolore. Non è indolore quando, per rigettare l’influsso, si giunge, in parte e/o in toto, a rifiutare parte e/o toto dei Generanti: famiglia o componenti, società o ceti, storia o momenti storici. Nel bene e nel male, il Generante rifiutato perché se ne rifiuta l’influsso è pur sempre amato. Lo è, perché, nel bene e nel male e indipendentemente dallo stato parentale (famigliare, sociale e/o storico) presso la vita del Crescente, è pur sempre Figura di principio. Come lei sa bene, la Tossicodipendenza è piena delle testimonianti vittime delle lotte fra l’amore e l’odio verso le Figure di Principio.

Il rigetto dell’influsso della Figura prevalentemente determinante, quasi sempre costituisce una identità in dissidio con se stessa perché in dissidio con la Generante influente in eccesso. E’ un dissidio (la guerra fra l’amore e l’odio verso chi si ama ma che si rifiuta per eccesso d’influsso) che (coscientemente o incoscientemente che sia) tarla di dubbi la condizione sessuale che comunque non può non essersi costituita. Non solo. Il dubbio da cui consegue l’incertezza di se, può rendere la persona, ostile (anche sino alla violenza più estrema o contro se o contro altra da se) verso chi (volontariamente quanto involontariamente) porta verso la superficie di quell’identità le tensioni sessuali che, presso le persone in questione, sono motivo di dolore culturale e spirituale.

Alla stregua dei naturali, quando i dolori culturali e spirituali non hanno chiare risposte, come risposta possono ricorrere anche ad elementi compensanti: non esclusi le droghe. La Transcultura anche sessuale, è viaggio verso il personale principio? E’ ritorno verso il personale principio? E’ rivendicazione di se? E’ rivoluzione contro le convenzioni? In attesa ci si dica come sinora non è bastato (se fosse bastato non vi sarebbero dolori, e dunque, neanche sessualità diversa nel senso di anormalmente intesa) nelle domande che faccio credo vi siano anche le risposte. Dal momento che vi è vita, il Principio della vita ( Stato originante comunque lo si chiami o se lo si dica naturale o soprannaturale ) è attuare vita. Ne consegue che attuare vita è il principio di vita di chi segue quella del Principio della vita.

Dal momento che il Principio della vita non può essere stato il Male (essendo non vita, il Male, se fosse avrebbe attuato non vita tanto quanto è male) ne consegue che il Principio della vita non può essere che il Bene. Il Bene è la Natura del Vero di ciò che è Giusto alla Cultura della forza della vita: lo Spirito. Lo Spirito è sempre stato considerato a parole, ma, almeno nella nostra Cultura, mai sufficientemente praticato se non a parole, eppure, nella linea viaria che è la nostra vita, è Capo stazione! Lo è, perché è la forza che indica al nostro convoglio (la somma delle informazioni) se nel binario (la Norma) deve arretrate, fermarsi, procedere, o cambiarlo perché di erroneo tratto. Attraverso il dolore, infatti, lo Spirito indica alla forza della Persona che sta sbagliando percorso; attraverso il bene (vero per quanto è giusto) che può procedere nella sua volontà; attraverso le esaltazioni o le depressioni, che deve rivalutare le sue decisioni e/o gli stati della sua forza prima di procedere nella sua volontà; attraverso la sua pace (cessazione dei dissidi) che, di volta in volta, è giunto alla verità di se.

Direi, allora, che se la Persona (necessariamente Transculturale sino a che non ha costituito l’identità di prevalente scelta) segue le indicazioni del suo Capo Stazione, in ogni stato di vita è normale a se ed al Sociale anche se sessualmente non corrisponde al tipo ed al genere della prevalente Norma che il sociale ha adottato per la sua costituzione. Tornando al bene, se il Bene è l’Immagine del Principio della vita: essendolo è Norma di principio. Dato il principio, sia a livello personale che sociale se ciò che ci si prefigge è dare bene in ogni aspetto della vita, allora, tutto è normale in ragione del bene che si origina o del male che non si origina. Se tutto è normale in ragione del bene che si origina o del male che non si origina, allora, non la Personalità sessuale è meta del giudizio, tutt’al più, il suo vivere.

Ogni adeguamento culturale (normalizzazione) che non tiene conto di ciò che è normale al viaggio della persona (cioè, alla sua personale esistenza) è un deviante e pericoloso arbitrio. La normalizzazione (una naturale normalizzazione) dovrebbe essere l’opera di potatura per la quale e con la quale una identità stacca da se stessa ciò che si è seccato dopo aver compiuto il suo ciclo vitale. Succede, invece, che la rinuncia alle proprie particolarità sia degenerata nella culturale pretesa di doverlo fare in modi e tempi quasi mai corrispondenti allo stato personale ma quasi sempre corrispondenti allo stato sociale. I motivi per cui lo stato etico – sociale, pretende l’attuazione della rinuncia di se (anche se prematura) non sono pochi.

Vi sono motivi riconducibili ai vari poteri del “Principato e della Religione” (Padre Aldo Bergamaschi) ed altri riconducibili all’odierno sistema economico, nel quale anche la Persona è diventata uno dei tanti prodotti. Per quanto la pretesa della normalizzazione al Sociale possa anche essere legittima, certamente non lo è dove procura dolore: male da errore nella vita della Natura, che in quella della Cultura e dello Spirito e contrasto di vita con il Principio: il Bene che da lo stare bene. Certamente vi sono identità che sanno adeguarsi alle pretese sociali perché le sentono anche proprie ma vi sono personalità che: o non hanno lo stesso sentire, o non ne hanno lo stesso stato, o gli stessi tempi. Una identità forzosamente inserita o che forzosamente si inserisce in una Norma che se non di fatto almeno in potenza pretende comportamenti di ortodosso rigore quando è ancora alla ricerca di se, o si adegua più o meno forzosamente (e si “normalizza” castrandosi) o non potendo vivere il proprio sé, o si ammala della vita che non gli appartiene o, estraniandosi dal sociale contingente e storico che non l’accetta, si difende normalizzandosi in proprio.

I Carcerati dalla Norma (i resi malati dall’impossibilità di raggiungere se stessi e/o quelli che si sono normalizzati castrandosi) o gli Evasi (i cosiddetti devianti, sani che siano riusciti ad essere nonostante tutto, o ammalati perché succubi del tutto) non potranno non sentirsi soli. Ben diversamente, sono unici perché non trovano corrispondenti con i quali completarsi. E’ anche vero che li si può dire impropri al Sociale perché diversi, ma è anche vero che possono essere impropri al Sociale perché il Sociale accetta gli unici (i se stessi) solamente quando, o gli sono adatti o vi si adattano. Si può essere propri (perché se stessi in quanto unici) e nel contempo corrispondere con il Principato, la Religione ed il vigente sistema?

Se non in toto certamente per parti quanto per stati. Tutto sta a vedere se il Sociale accetta (di fatto oltreché per l’impotenza nell’impedirlo) il concetto di “Transnormalità”: derivante dalla Transcultura, lo stato di passaggio fra stati e stati della Norma che sostengo: il Bene. La diversità (sia quando è segno della proprietà di se che quando è la via per giungervi) certamente è uno stato che “spaura” non solo ogni Ordine costituito sulla Persona ma anche la stessa Persona quando teme sia la propria realtà che quella del contesto in cui vive. Come, dunque, normalizzare la vita propria e normalizzarsi nella vita sociale senza ferire se stessi con una precoce rinuncia di se, o senza ferire il sociale o con la diversità o con la paura del diverso?

Come non ferire la vita propria quanto la sociale con gli stati suicidari che non possono non sortire dalle sofferenze che derivano da passivi e/o pessimistici confronti fra la norma detta dall’Io individuale e quella detta dall’Io sociale? Come non essere feriti dal sociale e come non ferire il sociale per reciproca emarginazione? Direi, tornando ai principi che hanno costituito l’odierno Contratto: il bene nella Natura propria ed altra, detto dal vero nella Cultura, propria ed altra, per quanto è giusto allo Spirito, cioè, alla forza della vita propria ed altra. Mi rendo ben conto che ciò che esprimo in questo scritto non è particolarmente scientifico ma come ho avuto occasione di dire per la chimica, la mia scienza è il cuore.

BEATITUDINE

E’ beata la Natura della Cultura della vita che vive se stessa in eguale misura di Spirito. Un’eguale misura di forza fra gli stati della vita la pone in pace. Quando gli stati della vita sono in pace perché sono cessati i dissidi (vuoi i propri che quelli fra vita e vita e della data vita con quella del suo Principio) allora, la vita è nella verità tanto quanto è in pace. Nella verità data dalla cessazione dei dissidi conseguente al raggiungimento della pace vi è omeostasi nel corpo, nella mente e nello Spirito: forza che è vitalità della Natura e vita della Cultura.

Nella verità perché nella pace sono cessati i dissidi fra la Natura propria ed altra, la Cultura propria ed altra e lo Spirito proprio ed altro, non può non esservi silenzio. Il silenzio è il luogo del Principio della vita perché principio della verità: bene per ciò che è giusto allo Spirito. Come luogo della beatitudine degli osservanti, tutte le religioni hanno il proprio Paradiso. Paradiso, è il luogo del Padre: principio della vita perché principio del bene detto da ciò che è giusto al vero. Antitetico al Principio del bene vi è il male: dolore naturale e spirituale da errore culturale. Secondo stati di infiniti stati di dolore, il male è separazione dal paradiso naturale (luogo del Principio del bene) se colpisce il corpo; dal paradiso culturale (luogo del Principio del vero) se il dolore colpisce la verità; dal paradiso spirituale (luogo del Principio della forza della vita) se il dolore colpisce lo Spirito.

Tanto quanto è perseguito, il dolore è cacciata dal Paradiso del Padre quando diventa principio di Spirito (di forza) della vita che si oppone al suo Principio: il bene del Padre: Principio della vita. Secondo stati di infiniti stati di vita, tanto quanto una vita si oppone al bene proprio, all’altrui e a quello del Principio e tanto quanto essa è Inferno: stato del male avverso la vita e del Male avverso quella del Principio.

GUERRA E PACE

(As.) Poiché vita è stato degli infiniti stati che si originano secondo lo stato dalla corrispondenza di forza e di potenza fra tutti ed in tutti i suoi stati ne consegue l’universalità di un confronto portatore del dissidio tanto quanto non avviene fra corrispondenti principi culturali: spirituali tanto quanto vengono elevati al Principio. 

Siccome non vi possono essere culturali contenuti, la dove, prima, non vi è il suo contenitore (il corpo) allora la Natura è lo stato di principio della vita di ogni vita. Se il principio di vita è della Natura, ciò che la principia non possono che essere i suoi naturali strumenti: la genitalità maschile e femminile. La genitalità dell’Uomo è quella che gli consente di penetrare la vita che gli è rappresentata dalla Donna. La genitalità della Donna è quella che gli consente di accogliere la vita dell’Uomo. Per avere vita (forza del suo Spirito) la Natura non può non corrispondere con la sua Cultura. Così, per volontà di vita, nell’Uomo, la penetrazione naturale è determinazione culturale e, nella Donna (per la stessa volontà) l’accoglienza naturale è determinazione culturale.

La determinazione della volontà implica la remissività della parte che corrisponde con chi emana la volontà. Stante le cose sembra che la posizione della Donna sia seconda rispetto all’Uomo, ma, non è così, perché, vita è corrispondenza di stati e, dunque, corrispondenza di vita fra gli stati della determinazione culturale maschile (anche femminile quando accoglie ciò che ha originato) e quelli dell’accoglienza femminile: anche culturalmente maschile quando determina ciò che è da accogliere. Necessariamente, ogni corrispondenza di vita deve avere un punto di principio; ed il principio della vita di ambedue gli stati non può non essere che quello del Principio della vita: la vita.

Se parto dal presupposto che il principio della vita (la determinazione della volontà di originare vita) è maschile, non è certo per la storia di Adamo, ma perché, per primo, cioè, al principio di ogni vita (così come in ogni atto della vitalità ) vi è la volontà di determinare ciò che è vita penetrando i suoi naturali, culturali e spirituali significati e, solo in seguito vi è la volontà di accogliere i significati che il principio primo (il maschile) ha determinato. Pertanto, se prima non vi è l’Uomo (emanazione della forza della vita, lo Spirito, che per determinazione della sua volontà di vita si è fatta corpo) dopo, per la stessa ma complementare emanazione (la determinazione accogliente) non vi è la Donna: se prima non si determina nulla, nulla vi è da accogliere.

Una determinazione (uno stato maschile) che non trovasse uno stato che l’accoglie, non potrebbe che determinare di accogliere se stesso ma allora non vi sarebbe che il proseguo di quella vita. Una accoglienza (uno stato femminile) che non trovasse lo stato determinante non potrebbe determinare che la sua accoglienza, ma allora vi sarebbe il proseguo di quella vita, non della Vita. Per permettere il proseguo della vita, ecco allora, sia la necessità di ambedue gli stati che della loro corrispondenza.

E’ chiaro che presso il Principio della vita il prima (la determinazione maschile) o il dopo (l’accoglienza femminile) non hanno senso tanto il Principio universale della vita (la Vita) è unitario, ma, è altresì chiaro che questa differenza esiste presso di noi: è una differenza, però, che cessa tanto quanto, a nostra volta, siamo unitari sia in noi che fra noi. Se il principio della vita è la determinazione culturale data dal suo spirito (la naturale può anche essere legata al solo piacere e, pertanto, presso noi può anche essere di soggettiva facoltà e/o importanza) è chiaro (dove non vi è pacifica intesa fra le parti) che ogni qualvolta vi è rovesciamento del ruolo guida (il femminile sul maschile) iniziano le guerre ideologiche fra i due sessi. 

Iniziano, non perché insite nello stato della vita, ma perché prodotte da un pensiero (religioso e/o sociale) in erroneo modo. Premesso il Principio della vita che sta a monte della tua questione, non posso non chiederti: a proposito di principi, come sei messa? Ti sei mai domandata se le cause del dissidio fra te e tuo marito non siano provocate dal fatto che, più che dell’accoglienza, il tuo principio di vita non sia piuttosto la determinazione? Se fosse, è chiaro che il tuo matrimonio è “omoculturale”, in quanto, si è costituito fra due simili anche se uno dei due è donna.

Dove questo genere di relazione non motiva conflitti è giusta alleanza di vita come qualsiasi altra relazione nella quale non ve ne siano, ma, dove genera conflitti, chiaramente, non può essere giusta. Nel qual caso, la morale che si ricava dalla tua storia può essere questa: o ti decidi ad agire secondo femmina e Donna (cioè, prima accogli e poi determini) o il tuo matrimonio durerà sino a quando saprai tollerare, o le malattie somatizzate dai tuoi conflitti, o il tuo stesso matrimonio. Siccome le due cose sono corrispondenti, o modificando il pensiero curi le somatizzazioni e dunque il matrimonio, o “curi” il tutto facendo cessare le somatizzazioni perché fai cessare il matrimonio.

Non occorre che ti ricordi che le tue somatizzazioni (o malattie nel caso non lo fossero) si evidenziano maggiormente nella pressione. La pressione segnala la misura della tensione della vitalità della vita. Come sai bene, la tua ha notevoli sbalzi fra un alto che può anche essere intesa come eccessiva proiezione di sé, e un basso che può anche essere inteso come eccessiva (perché te passiva o perché te violentemente indotta) rinuncia della tua volontà di vita. I tuoi disturbi si evidenziano anche nei reni: ciò che naturalmente filtra (discerne) ciò che fa bene da ciò che fa male di ciò che naturalmente, culturalmente quanto spiritualmente è bene o male.

Il fatto che l’anomalia ai reni possa essere ereditaria non modifica più di tanto l’ipotesi di somatizzazione che sostengo. Tuttalpiù prova che con la Natura, anche la Cultura è via di passaggio di proprietà dell’altrui al proprio sè. La via culturale, infatti, non è meno strada di vita della naturale. Il fatto che tua madre (o era tua nonna?) abbia lo stesso tuo carattere e, indipendentemente dagli stati, guarda caso, gli stessi tuoi disturbi, non ti dice proprio niente? Le tue somatizzazioni, inoltre, si evidenziano nel cuore: pompa che, se è malata, come forse non sai ancora bene perché non lo hai sentito ancora bene, potrebbe esserlo per uno squilibrio dato dal mal funzionamento di una pressione che, probabilmente, preme nei reni quando è in eccesso, o li disattiva (nel senso che li lascia a secco) quando è in difetto di forza.

Terminato di fare il pensatore ed il medico, riprendo la veste dell’amico. In quella veste e, dal momento che ci tengo per fartela conservare presso di te, fammi il favore di non fare l’uomo con me. Primo perché non sono tuo marito e, secondo ma non per ultimo, perché sono uomo. Spero non ripeterai l’errore. Ogni volta lo farai (se non per celia) mi vedrò costretto a rifiutarti. Lo dovrò fare, perché, se è ben vero che desidero l’uomo secondo la mia Natura, è anche vero che non lo amo secondo la mia Cultura: tanto meno se in veste di donna. Secondo i miei principi culturali e spirituali, è la Donna quella che mi rappresenta la vita ed è, dunque quella (poiché amo la vita) la figura culturale che culturalmente amo.

Ti dirò anzi di più. Più della Donna, sia naturalmente che culturalmente e spiritualmente, amo la forza dello Spirito: vita che, dandomi forza mi determina come Padre e, accogliendo la mia, è la Donna che come Madre mi determina figlio e uomo. Accogliendo il principio della Vita (la vita) amo la vita come Donna. Penetrando la sua accoglienza per la conoscenza dei significati del Suo principio (la Vita) l’amo come uomo. Scoprire tutto questo a cinquanta e passa anni potrebbe essere un po’ tardino per ricominciare, ma, meglio tardi che mai.

Onori, timori, oneri.

Non è il tempo che mi manca. Come occuparlo? Cercando sesso? Che palle! Giocando a carte? Troppo stress. A bocce? Ho già i piedi rovinati di mio. Ginnastica? Preferisco mangiare di meno piuttosto che faticare per smaltire il di più. Gare di ballo? Con le Cenerentole in pensione? Non mi ci vedo proprio. Andando a messa? Non frequento. Volontariato? Proviamo.

“Cortese associazione: scartabellando in Rete sono giunto al vostro sito. Come vedono dall’età, sono pensionato. Le necessità in questo mio momento sono due: precedere nell’essere attraverso il fare; ricavarne una sussistenza che compensi la minima di ora. Il non ottenimento della seconda sussistenza, non necessariamente cassa la prima. Sono stato cameriere, operaio generico e aiuto cuoco. Non ho diplomi di alcun genere. Sentendomi discorrere, più di un interlocutore/interlocutrice m’ha chiesto che studi ho fatto. Un corso serale, rispondevo. Quale? Corso Porta Nuova: nota strada per la stazione dei viaggiatori; per la stazione del vizio per i nasi in alto ma per me, una delle tante strade dell’errore, del dolore, e anche dell’amare. Mi sono occupato di tossicodipendenze per più di un decennio. Sono stato una sorta di operatore di strada, quando ancora non esisteva nulla del genere, ammesso e non so quanto concesso che esista ancora. Avevo un’associazione, all’epoca: letteralmente, quattro gatti, ma siccome non c’era nulla di meglio per i “tossici” in strada, sono stato utile se non altro come etichetta. Non è durata, vuoi perché perseguivo un’assistenza senza baratti, vuoi perché tutto sono fuorché normale, e/o normalizzabile. Ho il difetto di essere e restare esattamente come sono: non omologabile, anche se di sociale identità. Cordialità, Vitaliano “

Come in tutte le realtà della vita, anche l’ideale associativo deve tener conto delle regole che mandano avanti il reale; e tenerne conto significa mediare dove è possibile fra paritari valori e/o paritari interessi, o ricorrere a compromessi dove i valori e gli interessi non sono paritari. Chi non accetta il compromesso, è tanto un bravo ragazzo, peccato… Di ampia gradazione di grigio, la zona del compromesso. Chi è prevalentemente spinto da interessi non se ne cura più di tanto. Chi è prevalentemente mosso dall’ideale, invece, lo patisce come sporco. A nessuno piace far veder sporcato un ideale. C’è chi lo dice. C’è chi lo nasconde. Chi lo nasconde, teme. Non esiste cieco che non sappia vedere dello sporco. Che fare, allora, per non farlo vedere? Tre, le prevalenti soluzioni: nasconderlo, coinvolgere nello sporco tutti quelli che sanno vedere, non associare, e/o tenere molto a margine tutti quelli che non si sa se sanno tacere. Mi sa che sono stato troppo diretto nella mia lettera. Deve essere per questo che non ho ricevuto risposta. Mi sa che dovrò andare a farfalle.

ANDANDO PER SCALINI

IL SENSO DELLA COLPA

Il senso della Colpa? Croce da temere e maestro da ascoltare.

Il senso della colpa (peso dell’errore nella Cultura sulla vita della Natura) è carenza di forza nel corpo, nella mente, nello spirito. Certamente è vero, che se l’ascoltiamo troppo, rischiamo di cadere sotto il peso di quella voce. Come in tutte le cose, quindi, è una questione di misura. Cosa ci dice la giusta misura? La dice il bilanciamento dei pesi che compongono l’insieme di ciò che secondo Natura siamo,  di ciò che secondo Cultura sappiamo, con ciò che secondo Spirito sentiamo. Nel ciò che siamo, sappiamo e sentiamo vi è ciò che si deve sia a noi che alla vita. Vi è felicità di vivere, quando le parti sono in equilibrio. Infelicità, quando vi è squilibrio.

Si ottiene l’equilibrio fra le parti, quando vi è parità di baratto fra ciò che dobbiamo (i doveri) e ci si deve e/o ci devono: i piaceri. Quando il baratto risulta in passivo (cioè, quando diamo più di quello che ci si deve e/o ci devono) lo spirito della nostra vita subisce una flessione per difetto: la somatizziamo come depressione. La somatizziamo per eccesso, invece nel caso dell’esaltazione. La depressione da senso di colpa (croce, per chi ha perso ogni capacità di baratto) non è una malattia e neanche l’errore: è un allarme. Funzione di quell’allarme, è dirci che stiamo posando quello che siamo per quanto conosciamo in luogo e/o modo erroneo. Qual è l’universale verità che ci dice il luogo e/o il modo erroneo? Verità universale è il dolore che subiamo e/o quello che procuriamo. Artificiale, quando non artificiosa, ogni altra voce.

ANALISI DELL’INDIVIDUALITA’

Un’individualità che in primo non corrisponde a sé stessa, cioè, con gli stati di Natura, Cultura e Spirito propri, necessariamente, è separata da sé stessa tanto quanto non si corrisponde. Una individualità che non è in comunione con sé stessa perché in vario grado separata, è, perché esiste, ma, non vive tanto quanto non attua (o vive tanto quanto attua) in primo ciò che lo accomuna a sé e, corrispondendo, ciò che lo accomuna ad altro da se. La vitalità è la forza di spirito della Natura. La vita è la forza dello Spirito della Cultura. Lo Spirito è il Principio della forza della Natura della Cultura della vita.

La vitalità dello spirito delle individualità che corrispondono al sé proprio, al sociale e allo spirituale comprende la vita e ne è compresa. La vitalità dello spirito delle individualità che, pur corrispondendo con il sociale non corrispondono a se, comprendono la vita sociale e ne sono comprese ma non comprendono la propria, che non le comprende tanto quanto non si corrispondono. La vitalità dello spirito delle individualità che corrispondono a sé ma non con il sociale, comprendono la propria vita (che le comprende) ma non comprendono quella sociale che non le comprende tanto quanto non si corrispondono.

La vitalità dello spirito delle individualità che non corrispondono a sè, né al sociale e né allo spirituale, non comprende la vita propria, sociale e spirituale, che non la comprende tanto quanto non si corrispondono. La relazione di corrispondenza fra gli stati naturali, culturali e spirituali propri costituisce la personale identità. La relazione di corrispondenza fra i propri stati e quelli della Natura della Cultura della vita sociale costituisce l’identità personale – sociale. La relazione di corrispondenza fra i propri stati e quelli della Natura personale e sociale della Cultura della vita secondo lo Spirito, costituisce l’identità personale – sociale – spirituale.

Una individualità non vive (naturalmente, culturalmente, spiritualmente) la vita di ciò che è per quanto sente di ciò che sa, tanto quanto non corrisponde con lo stato (naturale, culturale e spirituale) identificante. Quando una individualità in identificazione (moto della ricerca di sé) non corrisponde con lo stato naturale, culturale, spirituale referente di identificazione (Principio del moto della ricerca di se), vi è separazione fra il soggetto identificante e quello in identificazione tanto quanto fra i due stati non vi è corrispondenza. Quando fra lo stato identificante e quello in identificazione non vi è corrispondenza di stati, l’individualità in identificazione, è confusa tanto quanto la corrispondenza è mancante.

Di converso: quando fra lo stato identificante e quello in identificazione vi è corrispondenza di stati, l’individualità in identificazione è certa di sé tanto quanto, è, lo stato di vita dato dalla comparazione fra il sé proprio e quello identificante. La personalità divisa da se stessa perché non sente quanto sa o non sa quanto sente (e, dunque non vive ciò che sente per quanto sa) subisce (e provoca) i danni originati dalla separazione, tanto quanto è separata da se stessa. L’io che si conosce è come una casa ( Natura ) che poggia su un terreno ( Cultura ) idoneo a reggerne la costituzione ( la vita ) in tutte le sue parti.

L’io che non si conosce, è come una casa (Natura) che non sa quale è la parte (Cultura) più idonea a reggere la vita della sua costituzione. L’Io, che non costituisce la sua vita secondo il proprio sé ma secondo altro da sé, è come una casa (Natura) abitata da un inquilino (Cultura) alieno al suo Spirito. Una individualità che si costituisce incosciente della parte di sé (la naturale, la culturale o la spirituale) più idonea a reggere il peso dell’edificio (la sua vita) è soggetta a crepe: le crisi di identità. La crisi di identità, o denuncia che un Io si è estraniato da una parte naturale, culturale o spirituale di sé, o che è stato espropriato di una parte naturale, culturale, o spirituale di sé, o che si è estraniato da sé perché espropriato di sé e/o invaso di altro da se.

Una identità è in crisi quando non è ultimata dai suoi principi. Ad una identità non ultimata dai suoi principi necessitano continui sostegni. Sostiene la personalità in crisi di sé, ciò che di naturale, culturale, o spirituale, di volta in volta occorre allo stato naturale, culturale e spirituale. Ogni separazione da sé di una parte di sé è una ferita: come tale è un male. Poiché, per essere vita, ciò che è della Natura non può non essere della Cultura, allora, il male naturale è anche male culturale. Un male nella Natura che diventa male anche della sua Cultura è male anche nello Spirito, cioè, nella forza della vita. Il male (naturale tanto quanto culturale e spirituale) deforma la vitalità e, conseguentemente, deforma la vita.

Ogni male richiama la corrispondente cura: naturale se ad esserne colpita è la Natura; culturale se ad esserne colpita è la Cultura, spirituale se ad esserne colpita è la forza della Natura della Cultura della vita. Una individualità diretta verso la Vita cura il suo male con atti di vita sia verso sé che verso altro da sé. Tanto quanto non è diretta verso la Vita, una individualità si cura con atti di morte o contro sé o contro altro da sé.Se ciò che principalmente manca riguarda la vita naturale o culturale, una individualità si compensa (semplicemente o complessivamente) o con della vita naturale o con della vita culturale. Se ciò che principalmente manca riguarda la Natura della Cultura della Vita (ricerca delle origini e degli scopi di vita) una individualità si compensa (semplicemente o complessivamente) elevando i principi della propria.

Se ciò che manca è rilevante al punto che ne ciò che è (Natura) e ne ciò che sa (Cultura) e ne la forza (lo Spirito) data da ciò che è di quanto sa di ciò che sente sono l’un l’altro sufficientemente compensativi, allora, una data individualità, la dove non sa o non può rivedere il suo vissuto, può avvertire la necessità di compensarsi più fondamentalmente. Nei casi di più fondamentale compensazione se una individualità giunge sino a compensare la totalità dell’essere, certamente non si può dire che è ciò che sa per quello che sente, ma, che è ciò che sa per quello che gli fa sentire la totale compensazione adottata.

Tanto più quella individualità è ciò che sa per quello che la più fondamentale compensazione adottata gli fa sentire e, tanto più assume la personale identità data dalla compensazione complessivamente adottata a sua integrazione. Se la compensazione adottata è alcolica, tanto più una individualità sofferente compenserà la sua Natura con quell’elemento e, tanto più la sua Cultura sarà la vita di quello che è per ciò che saprà di ciò che l’alcool gli farà sentire. Nel caso in esempio, l’identità conseguente sarà quella dell’alcolista. Nel massimo processo di identificazione dato dall’essere l’identità della sostanza naturale, chimica, quanto ideologica, che si raggiunge quando una vita ” si fa ” con la vitalità che genera una sostanza totalizzante.

Quello che vale per le droghe che diventano la forza della Natura della Cultura nella droga, vale anche per le ideologie e/o gli edonismi se diventano droghe (fissatrici d’arbitrio) per la Cultura della Natura della vita che necessita di forza. Se nel caso dell’over compensazione da alcool l’identità globale che ne consegue sarà quella dell’alcolista, nell’over compensazione culturale e/o spirituale (o in altri casi con cui si compensi la Cultura della Natura) la personalità risultante rischia di essere naturalmente o culturalmente, o spiritualmente fanatica. E’ fanatica, l’individualità che ha delegato la totalità del proprio arbitrio alla realtà che ha invaso di se o la forza della sua Natura, o di quella della sua Cultura o la forza (lo Spirito) della sua vita.

Tanto più il fanatico è forte d’altro e tanto più è debole di sé. Quando una identità assume quella dei totalizzanti artifici che usa per essere, non è mai ciò che è per quello che vive per quanto sa di ciò che sente, cioè, se stessa. Non è mai se stessa, perché quando è totalmente compensata, è sua identità la totale compensazione e, non è mai se stessa quando non è compensata perché la sua identità, in assenza di compensazione, è vita che non si sente perché non si sa (se il suo principio di vita è la vita della sua Cultura) o non si sa perché non si sente se il suo principio di vita è la vita della sua Natura.

Una individualità asservita ad un artificio perché carente nella forza della propria vita (nel suo Spirito) in quanto la sua Natura non vive ciò che sa la sua Cultura (o la sua Cultura non vive ciò che sente la sua Natura) è fuori di sé già prima che compensi quel fuori con altri buttafuori. Una individualità che vive quello che è per quello che sa in ciò che sente, non necessita di artifici, perché, tanto quanto è indipendente, è sovrana. Vi è potere della Natura sulla Cultura quando una Natura ama ciò che sente più di ciò che sà. Vi è potere della Cultura sulla Natura, quando una Cultura ama ciò che sa più di ciò che sente. Sulla Natura di una Cultura vi è il potere della forza quando ama la sua emozione (il suo Spirito) più di quanto sa per ciò che sente.

Poiché, il potere, per sua Natura non può ammettere la mediazione, non l’amore (che essendo comunione per sua Natura l’ammette) è fonte di potere, ma, solamente il desiderio dato dal piacere. Il desiderio dato dal piacere (ambedue gli stati non ammettono che se stessi) è una volontà di potere e, una volontà di potere che non ammette che se stessa, è sempre un sopruso: verso se stessi non meno che verso altri. Quando, a causa di norme estranee allo spirito dell’amore (ciò che permette la comunione sia in se che con altro/i da se) la volontà data dal desiderio di un piacere diventa il prevaricante potere naturale, e/o culturale e/o spirituale di uno stato (anche se amoroso) su un altro, nell’anima, sottomessa alla volontà del desiderio (come imposto ad altro anche imposto al proprio sé) si generano delle ” tossine ” naturali, culturali e spirituali, che ammalano ora di depressione e/o ora di esaltazione sia la vita che pratica la volontà del potere che la vita che lo subisce: la ammalano, tanto da mandarla anche anche oltre arbitrio.

La dove non vi è comunione di vita nella persona o fra persone ( e/o una corrispondenza da compassione per il reciproco spirito ) non vi è amore sia nella persona che fra persone tanto quanto la nostra vita è inadempiente verso il suo principio: la Vita. La dove verso la vita (nostra, altra e del Principio) non vi è amore, o vi è indifferenza da mancata condivisione di spirito, vi è inimicizia tanto quanto non vi è amore e/o non vi è compassione da condivisione verso la nostra ed altra vita. La dove vi è inimicizia, tanto quanto non vi è amore e/o compassione, vi è ignoranza (sia contro sé che contro altro da se) verso tutto ciò che non si ama perché non lo si conosce a causa della mancata comunione sia di se con se, come di se con altro da se.

L’ignoranza, quando è rifiuto di confronto, o è Natura della paura, o è Cultura dell’arroganza (overdose di difesa da paura) o piacere del sopruso. Come l’intolleranza, l’ignoranza separa vita da vita. L’ignoranza verso se separa da se ciò che è proprio prossimo. L’ignoranza verso l’altro separa ciò che è prossimo a se del se altrui. L’ignoranza verso se uccide l’amore di se. L’ignoranza verso l’altro uccide l’amore dell’altro. L’ignoranza uccide l’amore. L’ignoranza uccide l’amore perché separa la comunione. Ogni volta si impedisce la vita data dalle corrispondenze fra Natura, Cultura e Spirito (impedire la corrispondenza è separare la vita sia in se che la propria da altri) si pone inimicizia sia fra gli stati propri che, indipendentemente dagli stati, fra altri stati.

Poiché l’inimicizia non permette la conoscenza e poiché l’ignoranza non permette la comunione e la mancata comunione non permette l’amore, ecco che non potendo conoscere (o per Natura, o per Cultura, o per lo Spirito) non si può amare ciò che ci è stato diviso, tanto quanto siamo separati da ciò che ci è stato diviso. L’inimicizia principia l’odio. L’odio è uno spirito che può alimentare contro la vita (e la Vita) delle reazioni sia implosive che esplosive. E’ reazione implosiva l’odio contro se. E’ reazione esplosiva l’odio contro altro da se. L’odio contro la vita (e la Vita) ammala di sé il sé che lo contiene.

ANALISI DELLE EMOZIONI

Le emozioni sono informazioni che una Natura da alla sua Cultura. Tanto più una Natura sente quelle informazioni e tanto più la sua Cultura le sa. Tanto più una Cultura le sa e tanto più la sua Natura le sente. Tanto più una individualità le sente perché le sa (come tanto più le sa perché le sente) e tanto più le vive. Per sentire, sapere e dunque vivere secondo le emozioni date dalla forza del proprio Spirito, ciò che è della Cultura non può non essere della Natura come ciò che è della Natura non può non essere della Cultura. Secondo la forza del proprio Spirito chi non sente ciò che la sua Cultura sa, o non sa ciò che la sua Natura sente (cioè, non corrisponde a se stesso) non è la vita di sé tanto quanto non sa ciò che sente o non sente ciò che sa.

Tanto più una Natura personale, sociale e spirituale, sente ciò che la sua Cultura sa, o sa ciò che la sua Natura sente, tanto più è vita, cioè, forza dello Spirito. Nella corrispondenza con altre individualità, in ragione di quello che si è, per quello che si saprà dato quello che si sentirà, esprimendo la forza della vita data dalla propria realizzazione, si attuerà la Natura della Cultura della vita propria ed altra perché con l’altra. Tanto più una vita corrisponde a sé e con il sociale e spirituale che gli è proprio e tanto più la forza di quella identità è personale, sociale e spirituale. Una individualità che sente ciò che non sa conosce a metà. Una individualità che sa ciò che non sente conosce a metà. Una individualità che conosce a metà, vive a metà.

Una individualità che vive a metà (cioè, che non sa ciò che sente, o non sente ciò che sa) è separata da se stessa o per quanto non sa, o per quanto non sente, o per quanto non vive ciò che sa per quello che sente. L’individualità che non vive secondo la Natura della sua Cultura manca di una parte di sé. Ciò che gli manca può essere la vita nella sua Natura o quella nella sua Cultura. Secondo lo stato della mancanza negli stati di Natura e Cultura, l’individualità che manca di una parte di se, manca nella forza della vita: lo Spirito. La Natura che non sente la sua emozione compensa la sua forza (il suo spirito) con quello che la sua Cultura sa.

La Cultura che non sa la sua emozione, compensa la sua forza con quello che la sua Natura sente. La vita che non vive la sua emozione secondo la Natura della Cultura del suo Spirito, compensa la carenza della sua forza gratificandola o per mezzo della Natura o per mezzo della Cultura. L’individualità è spiritualmente attrice quando supplisce la parte che gli manca (o quella naturale, o quella culturale, o quella spirituale) con ciò che non è della Natura della Cultura della sua vita. L’individualità spiritualmente attrice, è quella che recita la vita della parte che non sa, o non sente, o non vive per ciò che sa e sente.

E’ autrice, l’individualità spirituale che vive ciò che è per quanto sa per quello che sente. La Persona è portatrice di valori spirituali propri, del sociale e dello spirituale cui corrisponde, tanto quanto in ragione di ciò che è per quanto sente di ciò che sa, è in comunione sia con il sé personale con il sociale e lo spirituale. La comunione di sé permette l’amore di sé. La comunione fra il proprio sé, quello sociale e lo spirituale, permette l’amore per la vita. Se vi è (o non vi è) corrispondenza di spirito fra gli stati di Natura e Cultura propri e fra i propri e quelli sociali e spirituali, vi è o non vi è vita tanto quanto vi è (o non vi è) comunione di vita.

Dove non vi è comunione di vita, vi è separazione di vita. Secondo lo stato della separazione, ogni separazione è divisione dal bene: vero per quanto è giusto. Secondo il proprio stato (ciò che si è) e dato ad ognuno il proprio stato (ciò che si sa in ciò che si è per ciò che si sente) allo Spirito il bene è giusto quando fra Natura e Cultura vi è comunione di verità. Dove la separazione dal bene, lede la comunione di verità, vi è dolore tanto quanto vi è separazione. Poiché, il bene, è il vero da ciò che è giusto, lo stato che è separato dal Bene (o nella sua Natura, o nella sua Cultura, o nella sua vita) non è nel giusto dello spirito proprio e della Vita, tanto quanto non è nel vero.

Lo stato della vita che è separato dal bene (e dunque nel dolore dato da ciò che non è giusto perché non è vero) brama il ritorno allo stato nel quale non vi è alcun male.

ANALISI DEL MALE

Lo stato nel quale non vi è alcun male è il Bene: Principio del bene naturale quanto del culturale e dello spirituale in ogni stato di vita. In ragione della condizione dello stato della mancata comunione di una Natura, o di una Cultura, o di una vita con il Principio del Bene, non vi è comunione col Bene, tanto quanto vi è insoddisfatto desiderio di unione verso l’origine. Qualsiasi desiderio di bene che non corrisponde al vero è arbitrio su di sé o su altro sé perché non è corrispondente vita: forza di ciò che allo Spirito è giusto. L’arbitrario desiderio di una Natura che non corrisponde secondo quanto è bene per ciò che è vero di quanto è giusto sia alla propria che ad altra vita, si pone contro sia la Natura propria che altra.

L’arbitrario desiderio di una Cultura che non corrisponde secondo quanto è vero per ciò che è bene di quanto è giusto sia alla propria che ad altra vita, si pone contro sia la Cultura propria che altra. L’arbitrario desiderio di una vita (forza del suo Spirito) che dato il bene che è nel vero non corrisponde secondo quanto è giusto sia alla vita propria che ad altra, si pone contro sia la vita propria che altra. Ogni arbitrio è una violenza: sia sugli stati propri che sugli stati altri. Violenza (contro sé e/o contro altro da sé) è la forza della vita che non vuole sentire e, dunque intendere, la ragione del suo Spirito. La ragione dello Spirito si intende nello stato di pace, perché, nella pace vi è quiete fra i dissidi e, dunque, verità. La forza della violenza da arbitrio contro se e/o altro da se è corrispondente alla forza dello stato di ciò che non si vuole sentire, sapere e capire. Una individualità non vive la sua vita con giusto Spirito (cioè, con la giusta forza) tanto quanto il sapere dato dalla sua Cultura non corrisponde al sentire dato dalla sua Natura (come di converso) tanto quanto il sentire dato dalla sua Natura non corrisponde al sapere dato dalla sua Cultura.

ANALISI DEL DISCERNIMENTO

Il discernimento è il più corrispondente strumento di cura: esso è il mezzo che pone nella giusta corrispondenza ciò che è sano con ciò che è da sanare. Il discernimento su sé o su altro da sé, è attiva transazione culturale ogni qualvolta permette il proseguo della vita propria, sociale e spirituale. E’ passiva transazione di vita, il discernimento che principalmente attua la mera esistenza. Il discernimento è il medico che cura se stesso. Le l’individualità separate da sé stesse, soffrono della mancanza di vita nella parte che il loro sé non vive. Gli elementi di compensazione cui ricorre una individualità sofferente per carenza di spirito (forza della vita) possono anche diventare particolarmente complessi, quando: è inappagata da se stessa e dal sociale; inappagata di sé per quanto variamente appagata nel sociale; inappagata nel sociale per quanto variamente appagata di sé.

Per giungere al proprio completamento attraverso l’appagamento, le individualità totalmente o parzialmente inappagate perché personalmente, socialmente e spiritualmente non comprese dallo stato proprio e/o sociale e/o spirituale, possono anche diventare dipendenti (quanto tossicodipendenti) di elementi compensativi ( ” leggeri ” e/o ” pesanti ” ) sia naturali che ideologici e/o chimici. Tanto più la forza della vita (lo Spirito) è depressa per la mancanza di risposte alla domanda di equilibrio posta dalla vitalità in sofferenza (o esaltata per eccesso di risposte) e tanto più complessi sono gli elementi di compensazione cui ricorre la data individualità.

La parte dell’individualità depressa o eccitata perché non vive ciò che sa per quello che è, può principalmente essere quella naturale (la vitalità) o quella culturale (la conoscenza) o quella spirituale: elevazione verso il Principio dei significati esistenziali.

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